a breve il pdf del racconto completo
DECIMA PUNTATA
All’aperto, lungo i viali della cittadina la vita riprendeva. Volentieri ci s'incontrava e ci si attardava per strada, agli occhi del cielo. Il freddo ormai non costringeva più a richiudersi tra le calde mura di casa. Così Romoaldo quando passava da Mara per andare all’oratorio, spesso si fermava da lei, e il tratto che portava ai cortili vicino alla chiesa li facevano a piedi, chiacchierando di massimi sistemi, di matematica o di latino; cercando di aiutarsi l’un l’altra o di confortarsi per i voti rimediati. Erano giovani e ancora dovevano scoprire che il voto, in molte cose, è semplicemente relativo.
Qualche giorno dopo, al baretto, Diego sorprese ancora gli amici. Lo zio gli aveva messo a disposizione per il lunedì dell’Angelo un bilocale ad Angera, sul lago. Invitò tutti i ragazzi della sua compagnia.
- È stupendo, siete tutti invitati. C’è un panorama da sogno, raga. Nessun problema per il trasporto, la ferrovia ci porta fino al lago e dalla stazione occorre meno di un chilometro per arrivare … anzi qualora si voglia è possibile andare già dalla domenica sera.
- Difficile che i miei mi diano il permesso per la notte. - Disse Mara.
- Anche i miei. - Confermò Martina. - Mio padre mi ammazza solo se glielo chiedo.
Riccardo e Sergio intanto facevano i piani su come trascorrere la giornata al lago. Romoaldo pensò che sarebbe stato bello passare un intero giorno con Mara e con gli amici. Gianni invece non era entusiasta. Ormai da un po' più nulla più lo esaltava, era indifferente a tutto. Disse che ci sarebbe andato anche lui solo perché glielo chiese un paio di volte Martina.
- Da soli non ci faranno andare neanche morti i nostri genitori, raga!
- Vero, nulla da fare allora. - Sentenziò sconsolata Martina.
- Mi sarebbe piaciuta una giornata al lago. Ma si può andare lo stesso tutti insieme un po’ più vicino, no? - Propose Riccardo.
- Io e Isabella andiamo ad un raduno di motociclisti quel giorno. - Disse Luigi.
- Ragazzi, mio zio mi ha detto che lui sarebbe andato su dal venerdì, per cui un adulto ci sarà; con la sua fidanzata anche. Se qualcuno ha problemi con i genitori diciamo che siamo con loro. Mio zio è d’accordo. Lui starà a casa, visto che ha da fare e noi andremo al lago senza impicci.
- Sì e se poi ci telefonano e lo vogliono ringraziare, o... salutare, con chi parlano con sto coso?
- Tranquillo. - Rispose Diego. - Mio zio va e viene, starà sempre nei paraggi.
E così fecero. Il lunedì successivo giornata di lago. La fortuna volle che ci fosse uno splendido sole. Il lago frangeva le calme onde sulla riva, un leggero vento rendeva l’aria piacevole e la compagnia degli amici aveva il sapore del cielo. Trovarono posto in una piccola spiaggetta vicino alla casa che li ospitava. Non si svestirono subito; al mattino l’aria era ancora fresca e andarono al baretto a fare colazione. Riccardo e Sergio passarono l’inizio della mattinata a corteggiare qualunque ragazza fosse a loro tiro; sulla spiaggia, nel bar, in acqua. Tutto sommato erano simpatici e allegri e alle ragazze non dispiacevano affatto i loro approcci. Gianni per un pò giocò a carte con Romoaldo, poi i due offrirono un gelato a tutti e si allontanarono con le ragazze. Diego, che aveva progettato tutto, dovette aiutare lo zio in un piccolo lavoro di riparazione domestica nella casa vicino alla spiaggetta. Li raggiunse dopo un’oretta abbondante. A mezzogiorno panini al bar in riva al lago, lettura della Gazzetta dello Sport da poco arrivata e bevuta generale, finché Riccardo fece delle avances alla ragazza sbagliata. Era una diciottenne, ma stava con un venticinquenne in compagnia di due trentenni. Insomma un vero caos, il tutto innaffiato di birra. Dopo il primo avvertimento, il secondo … non ci fu il terzo. Il ragazzo diede uno spintone improvviso a Riccardo che era seduto al tavolino con Sergio e Diego che gli dava le spalle. Cadde da farsi male davvero, non fece in tempo a rialzarsi che gli volò addosso una sedia, di quelle di plastica leggera, fortunatamente. Diego prese il telefonino e chiamò lo zio mentre si mise tra i litiganti.
Sergio si alzò d’istinto e prese una sedia per ripararsi e aiutare l’amico. Il barista intervenne alzando la voce e riuscì a calmare le acque, ma quando tutto sembrava finito l’aggressore sferrò un calcio al ventre di Riccardo che cadde a terra senza fiato; non se lo aspettava e il colpo fu troppo violento. Gli mancò il respiro per alcuni interminabili secondi.
Nel frattempo c’era stato un fuggi-fuggi generale dal locale, che attirò l’attenzione di Gianni e Romoaldo dalla spiaggetta. Arrivarono anche loro, mentre i tre aggressori, troppo ubriachi per ragionare, si avventavano contro Diego e Sergio che cercavano di aiutare Riccardo ancora a terra. Gianni capì subito e presa una sedia la fece roteare con violenza verso la faccia dei tre. Diede il tempo agli amici di soccorrere Riccardo e di tirarlo su per farlo respirare meglio. Ma quei tre erano troppo anche per Gianni, che cominciò a prenderle e si riparò sollevando un tavolino. Il barista chiamò i carabinieri e prese un bastone per difendere Gianni. Gli altri amici andarono anch’essi ad aiutare lo sventurato. Arrivò lo zio Cesare, che era stato avvisato da Diego. Fortunatamente era ben piazzato e con il barista tenne testa agli ubriachi, senza quasi arrivare alle mani.
Arrivarono i carabinieri. Riccardo si riprese e fu condotto con gli altri al pronto soccorso per accertamenti. Finì con minacce e un procedimento penale da avviare, fino a che arrivarono i genitori al pronto soccorso. Al posto di polizia dell’ospedale furono messi al corrente dei fatti.
- Si configura il reato di rissa, signori, e in questi casi si procede d’ufficio contro tutti i coinvolti. - Fu detto chiaramente a ragazzi e genitori.
Quindi furono raccolte le dichiarazioni e a nulla valsero le spiegazioni che erano stati aggrediti dai tre ubriachi: era la loro parola contro quella dei tre, che non risultarono, sfortunatamente, gli unici ad aver bevuto.
Finché fu sentito anche il gestore del locale che, per soccorrere i ragazzi, era scivolato procurandosi un ematoma al fianco. Dopo le cure il barista confermò la versione dei ragazzi e suffragò la dichiarazione, informando che il locale era videosorvegliato.
Il ritorno a casa fu una sequela di rimproveri e raccomandazioni. Ma alla fine tutti erano consci che sarebbe potuta andar peggio. Ci fu un miracolo forse; un barista generoso che li difese fino all’ultimo e lo zio di Diego che non si era mai allontanato troppo dai ragazzi e che era intervenuto quasi subito.
Tutti a scuola seppero della loro “avventura”, anche perché i lividi erano ancora visibili. In un modo o nell’altro si parlava sempre di quel gruppo di amici. Naturalmente i protagonisti lo raccontarono un pò a modo loro, ma negli occhi rimasero impresse la violenza gratuita e la cattiveria che possono muovere le azioni degli esseri umani. I ragazzi sapevano perfettamente il rischio che avevano corso, e questo li fece crescere.
Passarono i giorni ed arrivò l’ultima partita di campionato. La squadra di Gianni era balzata al primo posto dopo un serie di vittorie che avevano dell’incredibile, i giocatori erano in piena forma e sulle ali dell’entusiasmo erano diventati un rullo compressore. Lo sport era l’unica cosa che sollevava il morale di Gianni. La partita della domenica mattina finì con uno schiacciante 4-0 per la rappresentativa di Parabiago: che vinse il torneo interregionale. Gianni siglò due goals memorabili e Martina, con gli amici, fece un tifo indiavolato. Seguirono festeggiamenti anche nel pomeriggio al bar del campo sportivo. Inutile dire che qualcuno che aveva bevuto troppo rischiò di rovinare la festa. Ma la gioia era tanta e l’orgoglio passò sopra ai dispetti di qualche invidioso che, annebbiato dall’alcol, trovò motivi per criticare squadra e società.
Dopo cena Romoaldo e Mara erano seduti sui gradini all’entrata dell’oratorio. Avevano trascorso parte della serata a chiacchierare di tutto. Stranamente erano rimasti soli. Nei cortili, nei locali pochissima gente. Il cielo sull’imbrunire era sereno. Pareva quasi che il suono della loro voce saziasse la voglia di tenerezza che ognuno prova di quando in quando. Finirono a parlare di loro stessi, di cosa sentivano l’uno per l’altra. Allora il tempo smise di scorrere. Il cielo pareva adagiarsi di fianco a loro, ad ascoltare curioso, e le stelle facevano a gara per guardare gli occhi di lei, che per timidezza spesso socchiudeva. Mara d’un tratto non proferì parola. Lo baciò appoggiando brevemente le labbra su quelle di lui. Il tutto sortì un sorriso allegro e fugace in lei. Lui colse la gioia di quell’attimo e le prese una mano. La portò al cuore.
- Senti? … senti cosa dice?
Lei sorrise ancora.
- No, Romoaldo. Cosa dovrebbe dirmi?
La baciò.
- Ti ha parlato, ora … hai sentito.
- Sì, mi ha parlato, tenero e gentile nunzio del tuo amore … lascia che gli risponda allora! - E lo baciò teneramente, e quindi ancora.
Fu lieve tocco di labbra. Sentieri di corpi vicini, pensieri all’unisono, respiri che sussurrano. Lui con le dita seguì i tratti del viso come un tocco di petali, finendo a carezzare i capelli morbidi e gentili. Non c’era suono allora, non c’era luna, neanche il mondo; soltanto l’infinito dei pensieri belli.
- Io non so cosa sia l’amore - disse – qual magia incanta, qual musa conduce al cuore la voce tua sincera. Chi ha scritto quel che succede allora nel mio petto, qual mano sia che ordinò ai sensi di destarsi fino a che l’amore alberghi in me, io non so, Mara.
La guardò negli occhi. Ancora silenzio tra loro, quello che s'ode salire fino in cielo. Poi continuò:
- Credi all’amore eterno, Mara?
- Credo.
- Non c’è luogo in cielo che sia privo di stelle; e tale sei, ragione ultima e pienezza d'ogni mio pensiero. Non so se il firmamento abbia a morire un giorno, ma affido a lui, navigatore, quel che per te provo, in fin che tra le acque del suo tempo non abbia a terminare lo sciabordìo del cuore.
- Anche io ti amo, Romo. La purezza del mio essere trova senso nell’averti atteso.
L’attrazione che i due ragazzi provavano strinse i loro corpi in un abbraccio, di quelli che, guancia a guancia, risolvono nei baci tra collo e viso, ove ogni respiro è un delicato tocco di pelle.
Finché il silenzio fu rotto dal rumore di un ciclomotore che si fermò ai piedi della scalinata. Tolti i caschi, nel buio, sottoluce, riconobbero le sagome di Martina e Gianni.
- Gianni! - Fù sorpreso Romoaldo.
- Sì, siamo noi, vi abbiamo visto da lontano, ci sembravate proprio voi.
- Stiamo andando a casa. - Continuò Romoaldo.
- Vedo, vedo. - Rispose con ironia Gianni.
Avvicinandosi, Gianni raccontò una cosa accaduta poco prima.
- Insomma era lì, il deficiente, al paese piccolo, con quella cretina! A quest’ora.
- Ma sei sicuro Gianni? - Chiese Mara sgranando gli occhi per l’incredulità. – Tuo padre? Con una bionda?
- Gli ho detto cosa cavolo facesse. Prima mi ha chiesto cosa facevo io in giro a quest’ora, poi come stavo, poi se volevamo bere qualcosa. Allora gli ho urlato cosa stracavolo facesse in quel bar … assurdo, mi ha detto che era con una collega dopo il lavoro a bere un caffè prima di andare a casa. - Disse con disgusto - Ma chi pensa di prendere in giro sto vigliacco! Avevo voglia di mettergli le mani addosso, è senza ritegno.
- Ma sei sicuro che erano insieme? - Chiese Romoaldo.
- Un caffè a mezzanotte, ma dove si è mai sentita? - Pensò ad alta voce Gianni.
- E la donna cosa ha detto?
- Prima del nostro arrivo se la ridevano, si toccavano le mani, lei lo ha accarezzato un paio di volte sulla guancia, sta … li ho osservati per un po’ prima di andare da loro, volevo essere sicuro di non fraintendere.
- Non posso crederci, non diresti mai che i tuoi possano fare cose del genere. - Concluse perplessa Mara.
- Se non ci credete chiedete a Martina, ha visto anche lei.
- Meglio non dire niente agli altri, raga. Voi siete gli unici che lo sapete. - Disse Martina.
I due ragazzi accompagnarono Martina e Mara alle rispettive case. Era veramente tardi. Poi col ciclomotore di Gianni andarono verso la casa di Romoaldo. Gianni era stravolto. Si fermò e pianse, mentre l’amico taceva e lo ascoltava.
- Cosa devo fare? Devo dirlo a mia madre? Non so cosa fare.
- Forse lo dirà lui a tua madre.
Cercò il modo di consolarlo. Ripresero ad andare parlando continuamente. Non avevano messo il casco per farlo. Erano troppo presi ad ascoltare il dolore, a comprenderlo, a farvi fronte nel modo che quell’età può suggerire, e non si accorsero di una macchina che, pensando non ci fosse nessuno per strada a quell’ora, tagliò uno stop laterale. Poi silenzio … Lungo la strada soltanto due fari nel buio.