sabato 10 ottobre 2015

Dei ragazzi della scuola e dell'amore - quinta puntata

prosegue l'avventura dei ragazzi

QUINTA PUNTATA

                   Cap. 3 II secondo anno alle superiori

 Un giorno gli amici si ritrovarono appena terminate le lezioni. 

- Non hai il coraggio di farlo. - Disse Gianni.

- E perché dovrei? - Ribatté Sergio.

- L’idea è questa: siamo un gruppo, amici tenaci e duri, dobbiamo dimostrare che abbiamo le … insomma gli attributi. Così chi vuole essere veramente del gruppo deve superare una prova, diciamo … deve dimostrare di essere un duro.

Le parole di Riccardo convinsero tutti e, nel pomeriggio, man mano che gli amici giungevano in piazzetta venivano messi al corrente della proposta. Gianni, Riccardo, Sergio, Romoaldo, Luigi e Diego erano ormai diventati inseparabili.

- Sì, ma chi decide le prove? - Domandò Sergio un po’ scettico, mentre sorseggiava una coca cola fresca.

- Gli altri! tutti gli altri decidono di volta in volta per quello a cui tocca, e ovviamente lui ci deve, stare altrimenti è fuori.

La proposta di Gianni fu accolta dall’entusiasmo, all’inizio, poi si resero conto che ognuno era in balìa del gruppo.

- Chi inizia? - Chiese Gianni.

- Iniziamo da Romoaldo. - Propose Riccardo.

- Perché proprio io?

- Perché hai un nome del menga. - Disse ridendo.

- Meglio del tuo, e poi era di mio nonno materno, tanti in famiglia lo hanno.

- Sì, tutta la famiglia Addams. - Ne rise Sergio.

- Ma piantala sciancato….

- Dai, dai chi ce la fa a … - Sergio si girò di fretta - … a far suonare le campane della chiesa.

Attimo di smarrimento generale. Nel fondo, tra gli alberi svettava un campanile di fine 18° secolo, che pareva irraggiungibile nel cielo.

- Ma non sono registrate le campane? - Chiese Diego. - Cioè, quando suonano sono incise su CD. No?

- Facciamo suonare il CD, allora. - Disse risoluto Gianni.

Si guardarono negli occhi l’un l’altro. Non tutti erano convinti, forse immaginando la più che probabile reazione di genitori e del prete. Quello era un pomeriggio di fine settembre, l’aria ormai era cambiata e non c’era il caldo opprimente dell’estate.

I ragazzi si attardavano a tornare a casa, decisi a consolidare la loro amicizia, il loro gruppo. Quasi tutti erano in motorino, o erano accompagnati dagli amici. Ma quella proposta non era abbastanza:

- No, ragazzi, non facciamo suonare il CD delle campane, ma un altro, uno nostro. Propose Riccardo.

L’intesa era raggiunta. Sarebbero andati tutti in sagrestia per la bravata. Ci si doveva mettere d’accordo solo sui tempi e sulle modalità, per cui tennero d’occhio per tutto il giorno il campanile e notarono che le campane suonavano davvero soltanto alle 12 e alle 18. - Si farà alle 19 - Era deciso.

Il giorno successivo Romo e Sergio stettero fuori dalla chiesa, Gianni e Diego entrarono finita la messa alle 18,45 dove c’era già Riccardo vicino alla sagrestia per studiare i movimenti del sacrestano. Vide dove era il lettore CD e si tenne pronto ad intervenire appena il sacerdote si fosse allontanato a messa finita. Ma il sacrestano, contrariamente ciò che accadeva di solito, non si allontanò, rimase a fare ordine. Gianni fece cenno a Riccardo che avrebbero pensato loro al “sagrista” e, con la scusa di una informazione sui ceri, diedero il tempo a Riccardo di cambiare il CD.

Come videro uscire Riccardo dalla sagrestia gli altri due salutarono il sacrestano che rimase attonito per la fretta con cui tagliarono il discorso, tanto che si guardò in giro e fece in tempo a notare, tra l’altro, anche Riccardo allontanarsi in tutta fretta. Mancavano pochi minuti alle 19, l’ora della scampanata, e la chiesa si andava svuotando. I sei amici si radunarono proprio in prossimità del campanile. Sergio tirò fuori il telefonino e riprese Riccardo che si improvvisò speaker dell’avvenimento, scimmiottando i giornalisti TV:

Buonasera, siete collegati con Piazza Maggiolini perché il Prevosto ha deciso di protestare contro chi ha espresso lamentele verso le campane che fanno rumore e disturbano la pace della gente tranquilla di questa cittadina laboriosa, protesta portata ai limiti dell’accettabile, a detta di alcuni, per le modalità discutibili: infatti il sacerdote ha deciso che tra un minuto non suoneranno le campane ma……

Ma non fece in tempo a finire che la piazza, le vie, la città furono inondate dal suono distorto delle chitarre degli AC-DC. I ragazzi scoppiarono in una risata clamorosa, in salti, urla e in goffe imitazioni spasmodiche delle chitarre elettriche. Il tutto ripreso dal telefonino ultima generazione di Sergio.

Il suono s'interruppe pochi secondi dopo, grazie al tempestivo intervento del sacrestano che era ancora all’interno della chiesa. Loro però continuarono a gridare a squarciagola e presero i motorini cominciando ad impennare in piazza. Andarono via con l’euforia che ancora gridava loro in gola, con le risate che coprivano anche i loro pochi e non lucidi pensieri, fuggendo sui rumorosi veicoli, ma non prima di essere passati un’ultima volta sul sagrato della chiesa.

Luigi, in particolare, era il più spericolato col motorino e continuava a impennare e a sgommare per le vie del centro. Si calmarono soltanto quando scorsero in lontananza una pattuglia della polizia locale: a quella vista cessò improvvisamente l’adrenalina.

La sera in piazzetta lo raccontarono a tutti e rividero il video fino all’inverosimile, come se avessero osato l’inosabile, come se ognuno di loro si fosse guadagnato la palma del ragazzo più in gamba del momento. Alle ragazze in fondo piacque la bravata, e anche loro continuarono a rivedere il filmato... non dissero nulla in merito, se non il proponimento di essere presenti alla prossima avventura.

Romoaldo non disse nulla a Mara e non si esaltò eccessivamente: sapeva che lei non avrebbe condiviso. Era molto religiosa, assidua frequentatrice della parrocchia, per cui si contenne anche nelle dimostrazioni di soddisfazione. Le stava a fianco accennando appena qualche sorriso se qualcuno degli amici lo avvicinava, poi proseguiva a chiacchierare con lei. La ragazza dal canto suo non condannò apertamente il misfatto, sapeva che sarebbe stato inutile e sorvolò, era troppa l’euforia; si limitò a dire che era tardi e se ne andò a casa. Non fu una bella serata per lei.

La sera successiva, dopo cena, Gianni andò a prendere Martina a casa sua, in motorino.

- Il mio è dal meccanico Gianni, sono a piedi. Mi faccio accompagnare in piazzetta da mia madre.

- No, vieni con me sullo scooter, è qui vicino, ci vuole poco, dai.

- Ok, prendo il casco e arrivo.

Martina uscì poco dopo, aveva il casco in mano e lo fece vedere a Gianni sorridendo. Intanto il ragazzo fuori in strada stava sgommando e frenava continuamente facendola attendere qualche istante prima di farla sedere sul seggiolino.

- L’hai finita finalmente di fare casino!

Era seccata per il comportamento eccessivamente rumoroso di Gianni, anche perché il padre era alquanto infastidito dal baccano e lo aveva detto alla figlia, oltre ad averle fatto le solite raccomandazioni. Il fumo dei copertoni andò via poco dopo, ma l’odore di gomma bruciata rimase per un pò.

- Dai che andiamo, bella!

Non le diede neanche il tempo di allacciarsi il casco che partì a tutta velocità, sfrecciando tra i viottoli del centro e arrivando all’impazzata dagli amici.

- Ragazzi si va al pub irlandese. - Disse a tutti Luigi.

- Fino a Busto piccola? Perché? Stiamo qui come le altre volte. - Propose Riccardo.

- Ho voglia di sfrecciare a tutta velocità, raga, dai, si vola. - Gridava Luigi dando gas a tutta forza al ciclomotore in folle.

- Piantala che ci intossichi tutti, rimba. - Lo apostrofò Riccardo. - Spegni sto coso che decidiamo.

- Sì, andiamo al pub, voglio bere una birretta gelata.

Così iniziarono tutti ad accendere i motorini e Luigi, che non lo aveva mai spento, iniziò una danza sincopata di accelerate e frenate. Diego prese a sgommare. Riccardo diede vita ad una serie d'impennate alquanto pericolose, poiché ogni volta rischiava di fare la conoscenza dell’asfalto. Gianni, che aveva a bordo Martina, si limitò a disegnare cerci sempre più stretti col ciclomotore, rischiando di perdere l’equilibrio.

Il tutto condito da schiamazzi e risate.

Romo rimase a piedi, non aveva ancora il motorino e nessuno lo fece montare. Quello promesso dai genitori tardava ad arrivare e i fratelli maggiori non glielo avevano prestato, non lo facevano quasi mai. Cominciò così spontaneamente un carosello di velocità e giri vorticosi, di impennate e frenate repentine. Insomma cominciavano a dare veramente fastidio agli altri avventori della piazzetta. L’euforia andava a mille, i ragazzi si sentivano padroni dello spiazzo, del loro destino, dell’estate che si chiudeva e la gioia offuscava la ragione … forse troppo.

Nessuno di loro si avvide della volante della polizia locale che da qualche istante li stava osservando e che si avvicinò con calma. Sarebbero stati dolori.

Forse qualcuno aveva chiamato, forse no, sta di fatto che era lì. Un paio fuggirono di istinto, gli altri si fermarono. La volante non si mise alla rincorsa dei fuggitivi, si fermò e gli agenti scesero.

- Ragazzi fateci vedere i documenti dei ciclomotori, per cortesia. - Disse con tono deciso il poliziotto.

Dopo un rapido controllo gli agenti iniziarono a stendere i verbali, con piena soddisfazione dei presenti che intendevano godersi una tranquilla serata di fine estate, magari gustando un gelato. C’erano molti bambini e i giochi coi motorini potevano diventare pericolosi. Il conto fu tragico, furono fermati due ciclomotori e contestate cinque infrazioni. Alcuni ragazzi oltretutto non indossavano il casco. Ora, forse perché la paura era passata, o perché cominciavano a rendersi conto che non avrebbero avuto il motorino per un bel pò, o più semplicemente per timore di dirlo ai rispettivi genitori, tra di loro montò la rabbia e cominciarono a diventare impertinenti con i vigili: la bocca parlò senza cervello.

- Perché le fate solo a noi le multe, e degli altri che sono scappati non ve ne frega niente, vero? - Obiettò il primo dei ragazzi.

- Così tanto di multa? Ma siete fuori di testa? Io chiamo mio padre! Non sapete cosa vi succederà. - Disse un altro.

- Ma pensa li paghiamo noi questi qui! Sono proprio facce toste. - Incalzò qualcuno dalle retrovie.

La fortuna dei ragazzi fu che i due agenti avevano esperienza, agivano con autorevolezza, ma non avevano intenzione di calcare la mano; non diedero peso alle parole dei giovani e passarono sopra a qualche insulto che si udiva qua e là.

- Perché non ci dite per quale motivo non avete inseguito anche gli altri e fate le multe solo a noi. - Ripeté a voce alta Gianni, ormai fuori controllo.

Questa volta il vigile, che stava scrivendo proprio il verbale di sequestro del ciclomotore di Gianni guardò il ragazzo che gli stava proprio a pochi centimetri, e gli disse:

- Pensa che sia stato così difficile leggere le targhe dei ciclomotori dei vostri amici prima che andassero via? - E gli mostrò la mano sul cui palmo erano annotati due numeri di targa. Gianni non parlò più. - Lei non è il figlio del commissario? - Domandò il vigile.

- Sì, sì. - Rispose a denti stretti Gianni.

- Faccia vedere il verbale a suo padre, perché tanto glielo manderemo a casa, così se ha bisogno di spiegazioni gliele daremo noi. Arrivederci.

E se ne andarono.

Il resto della serata fu amara. I ragazzi stettero tutto il tempo a inveire contro i vigili, a domandarsi come dirlo ai genitori, a cercare di ricordarsi i motivi più disparati per fare ricorso ai verbali, comprese fantomatiche conoscenze con comandanti di polizia o avvocati. Il giorno successivo ci sarebbe stata scuola e a loro non andava giù di andarci accompagnati dai genitori.


Erano da poco passate le dieci e Martina volle che Gianni l'accompagnasse a casa a piedi. Era stanca e arrabbiata per l’accaduto. In verità, ce l’aveva soprattutto con Gianni. Non solo l’aveva combinata grossa, il ragazzo non capiva, secondo lei, che non era il caso di prendersela coi vigili, in fondo se l'erano cercata.

Ma passeggiando pian piano si calmò.

- Sono strade poco illuminate e a volte ho paura di camminare da sola. Mi fa piacere che ci sia tu ad accompagnarmi.

- Beh, mi piace stare con te, lo sai.

- Anche a me piaci tu.

I due ragazzi si tenevano per mano. Ogni tanto la luce dei lampioni era più intensa e creava strani giochi di colore con i capelli di Martina. Gianni allora approfittava dei momenti di buio per stringerla e baciarla. In quei frangenti i cuori parlavano l’un l’altro, le mani si stringevano e le labbra cercavano l’amore. Era dolce morire in quell’abbraccio.

Rimasero molto tempo fuori dalla casa di Martina a chiacchierare. La voce di lei era un canto delicato. Lui le carezzava teneramente i capelli mentre parlavano; con le dita sentiva scivolare le ciocche lisce e profumate e con gli occhi cercava di cogliere ogni piccola espressione del viso che, sorpreso, gli piaceva da morire; con la bocca sussurrava dei tocchi delicati sulla pelle, come fossero sentieri da scoprire. Erano in estasi. In verità ogni tanto giocavano col telefonino o si facevano giocosi dispetti. Ma, di quando in quando, tornavano ai silenzi che sussurrano sguardi, tocchi e teneri baci.

- Sai che mi manchi quando non ci sei, Gianni?

- Lo so. - Disse impertinente.

- E come fai a saperlo?

- Perché anche io ti cerco. Siamo attratti l’un l’altra.

- Ci promettiamo eterno amore? tu ci credi?

- Sì, ci credo, e vorrei che il nostro fosse così, Martina, vorrei scriverlo in piazza, sui libri, in tutte le vie …

Non finì la frase, le parole si adagiarono tra le labbra dei giovani innamorati, e scesero al cuore nelle stanze segrete che ognuno conserva geloso.

- Devo andare ora.

- Lo so. Tua madre ha chiamato.

- Mi mandi da lei?

- Ti porto con me, amore.

- Ci verrei, lo sai.

Tra i due ormai l’attrazione era forte e non riuscirono a separarsi quella sera se non dopo che la madre chiamò l’ennesima volta, verso mezzanotte. Si toccarono ancora le mani, nel buio, tra gli alberi del viale che portava alla casa di lei. La notte amplificava i sensi e conduceva i loro pensieri lungo sentieri poche volte esplorati. Ogni cosa in quei momenti pareva parlasse di lei. Prese una sua foto, che teneva nel portafoglio, e la diede a Martina.

- Sarò per sempre tuo Martina. - E la baciò.

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