venerdì 25 settembre 2015

Dei ragazzi della scuola e dell'amore - terza puntata

Seguiamo ancora i nostri ragazzi

Terza puntata

Nel momento più buio e triste della vita di questo ingenuo ragazzo un amico, Riccardo, andò a trovarlo a casa sua e raccontò alla madre come Romoaldo si fosse comportato da uomo. Riccardo era suo compagno di classe, e sedeva proprio al banco di fianco al suo. Aveva visto tutto e non gli stava bene che Andrea facesse il furbo. Per gli altri compagni Andrea era un tipo “giusto” che sapeva sfruttare ogni situazione: agli occhi di alcuni però era un insopportabile prepotente. 
Grazie all’intervento di Riccardo la punizione fu ridotta e pian piano Romoaldo tornò ad uscire con gli amici. L’estate era afosa e i ragazzi, quando potevano, passavano intere giornate alla piscina comunale e le serate nella piazzetta, alla gelateria. Fu lì che Romoaldo notò Mara. Forse perché quella sera ci aveva parlato molto, molto volentieri, o perché lei mostrò di gradire la sua compagnia, lui pensò per il resto della serata e della notte ai momenti passati insieme. Lei se n'era andata intorno alle undici perché i genitori le avevano chiesto di rientrare a quell’ora, lui invece a mezzanotte.

Ovviamente gli amici avevano notato l’interesse reciproco. E cominciò lo stillicidio delle battutine che durò per un bel pezzo.

Romoaldo dormì male quella notte. La passò a contare il tempo che mancava alla luce del giorno, svegliandosi continuamente e guardando dalla finestra con la rabbia di chi non vede l’ora che torni il giorno. Senza rendersene conto alla fine si addormentò profondamente. Così come d'incanto la luce tornò e lo accolse nel suo mondo di vita.

Alcuni amici erano già partiti per la villeggiatura, la famiglia di Romoaldo invece dovette fare i conti con il mutuo della casa e la crisi stringente e rinunciò anche ai pochi giorni di mare che solitamente trascorreva in Romagna. Mara, invece, sarebbe partita in aereo il giorno dopo, nel pomeriggio, per l’America, così al mattino, come d’accordo, s'incontrarono alla piazzetta per un saluto, naturalmente contornati da numerosi compagni. Erano le undici quando si videro. Lei era un pò sulle sue, Romoaldo attaccò di nuovo bottone. La piazzetta era piena di alberi e muretti, quasi fosse un parchetto. Vicino, su un lato, c’era la gelateria, e i ragazzi passavano molto tempo ai tavolini del bar, all’ombra di fronde e ombrelloni.

Finché Romoaldo le disse:

- Quando torni?

- Sarà lunga, l’America non l’abbiamo mai vista. Comunque stiamo via tre settimane, saranno intense, pensa a New York , Grand Canyon, Los Angeles e poi anche il nord fino al Canada.

-Farai in tempo a mancarmi mille volte, anche se ti ho appena conosciuta, sai … sono stato bene ieri sera a chiacchierare con te.

- Anch'io. A casa l’ho scritto sul diario. Ho un diario su cui scrivo tutto ciò che mi succede.

- Allora ci sono anche io nel tuo diario. Cosa hai scritto di me?

- Se leggessi ciò che c’è scritto, e se lo leggesse mia madre! Ho anche voluto raccontare tutto ciò che ci siamo detti ieri.

- Io l’ho scritto tutto nel cuore. Sai, io e lui parliamo.

E lei sorridendo lei chiese: - Di cosa?

- Oh di tutto, del tempo, della scuola, ma lui s'annoia ... poi, quando gli parlo di te, allora comincia a battere più forte e non vuole mai che smetta.

- Lei tornò seria - Mi prendi in giro? Ci conosciamo appena.

- Ah, le ragazze, siete tutte così. … Il cuore è istintivo, se tu gli piaci allora gli piaci subito. Lui sente le vibrazioni, le consonanze, le armonie della bellezza e non decide, non ne ha il tempo: ama! Fosse per lui avrei gridato a tutti ieri sera quanto sei bella.

- Ma dai..

- Sì, l’ho dovuto trattenere, già mi suggeriva parole, frasi e sensazioni che mai avevo provato. … in un istante mi è parso di vedere nei tuoi occhi la luce che sorge al mattino … la pace dell’aurora … l’aria frizzante d’aprile; in un istante soltanto ho visto il mondo intero passare nel cuor mio, battito dopo battito.

- Ma sei bravo con le parole. - Disse Mara meravigliata.

- Non io … tu le ispiri al mio cuore chiacchierone.

Si sa, alle ragazze piace piacere, inutile negarlo, ma poche potevano sperare che un ragazzo avesse un tale raffinato trasporto. Ma, ovviamente, la cose belle hanno una fine improvvisa. E la fine questa volta aveva il nome di Andrea. Romoaldo non lo aveva visto arrivare e fu colto alla sprovvista.

Andrea voleva ridicolizzarlo per il mancato lancio del biglietto a scuola:

- Eccolo il fesso che non sa neanche lanciare un bigliettino, ancora un po' e il prof beccava anche me, impedito!

- Piantala Andrea. - Replicò Romoaldo.

- Ti spaccherei la faccia, ma sei tonto! - Ringhiò avvicinandosi.

- Io l’ho pagata per tutti e due, Andrea, e non ho fatto il tuo nome.

Ma l'aggressore si volse ancora più adirato:

- Cavolo stai dicendo? E il mio compito in classe, me lo hai finito tu forse? Fesso, per colpa tua ho latino a settembre. Giuro che me la paghi.

Romoaldo si alzò per evitare che Andrea lo prendesse con la mano destra, e scavalcò il muretto dove era seduto, tenere la distanza non valse a nulla.

- Dove scappi?

Da sottofondo solo un gelido silenzio, interrotto dagli sghignazzi dei ragazzi che vedevano Romoaldo impacciato dalla paura. Andrea era ben più grosso e ben più deciso di Romoaldo; in genere i pavidi evitano di contrastare i più forti, e lì di codardi ce n'erano tanti. Non che Romoaldo fosse un coraggioso, ma Andrea gli stava rovinando l’immagine con Mara, e non ci teneva a passare per codardo: così non indietreggiò più. Mara era terrorizzata, conosceva bene Andrea e lo temeva. Abitavano nella stessa via e più volte aveva assistito o sentito parlare delle sue bravate. Ormai i due ragazzi erano a faccia a faccia:

- Ora tu per punizione sparisci dalla piazzetta per un po', Romo; non ti voglio vedere che mi dai nausea, fila via e non girarti, tonto. - Con tono di disgusto aggiunse, - perché sento odore di melma quando ci sei tu.

Si leggeva il disprezzo nelle parole di Andrea, la voglia di umiliarlo per la sua incapacità, la rabbia di chi pensava di aver subìto un torto. Romoaldo avrebbe fatto una figura meschina ad andarsene, ma non aveva scelta, l’alternativa erano le mani di Andrea.

Però a volte succede! Sul più bello. Quando sei proprio disperato. Qualcuno chissà perché ti tira fuori dalla melma. Vuoi perché chi ti minaccia proprio non gli va, vuoi per esibizionismo, o per qualsiasi altro imprescindibile motivo, ma quando capita tiri un sospiro di sollievo.

- Ciao Romo, problemi? - Era Gianni. Il compagno di classe ormai lo considerava un suo amico, e andò a fianco dei due contendenti come a formare un triangolo, solo che Gianni non guardava Romo, fissava Andrea.

- Sono fatti nostri Gianni, vero Romo?

Gianni era un ragazzo alto, atletico e per niente timoroso, anzi. La sua passione era il calcio, e si era guadagnata molta stima sul campo da gioco. Giocava veramente bene. Però era irascibile e a volte si faceva giustizia da sé, soprattutto quando un avversario lo stendeva per fermarlo sulla fascia. I “gialli” fioccavano in campionato e l’allenatore malsopportava il suo carattere, allora, a volte, lo destinava in tribuna, salvo poi riammetterlo tra i convocati alla partita successiva grazie all’intervento di papà, che era dirigente del commissariato di zona e ci teneva a vedere il figlio in campo.

- I fatti vostri non mi interessano, ma che si aggredisca un mio amico sì. - Poi si rivolse a Romo.

- Ti ha dato i soldi della soffiata o fa il furbo l’amico? -

E chiese ad Andrea con tono deciso - Gli hai dato i suoi soldi?

- Ma quali soldi, sto impedito non sa lanciare neanche un biglietto.

- A me pare che il biglietto sia arrivato fin sotto il tuo banco per cui i soldi se li è meritati: sei stato tu a non raccoglierlo. Tu sei il vero impedito.

- Stanne fuori Gianni, o i soldi te li metto in quel posto.

Allora Gianni allungò le mani sul petto di Andrea, lo fece con calma, come se non si aspettasse alcuna reazione e quasi lo sollevò da terra. Andrea si vide perso. Cambiò espressione e disse:

- Va bene va bene, lascio stare Romo, ma solo perché voglio io. Non ho intenzione di prendermela con te, Gianni … ma quel fesso deve starmi lontano se no gli spezzo le gambe.

- Non penso che Romo muoia dalla voglia di vedere la tua bella faccia. Stagli lontano tu o dovrai vedertela con me, idiota.

Andrea si allontanò, ma solo dopo essersi rivolto a Romo:

- La prossima volta fatti difendere dalla mamma, che magari è più bella di questo coso.

Ma la calma tornò.

Andrea si spostò verso i tavolini, Romo tornò a sedersi nervoso, Gianni scompigliò i capelli al nostro protagonista e gli altri ragazzi commentarono la prepotenza di Andrea. Solo Mara taceva. Poi disse:

- Beh, io vado, devo finire alcune cose prima di partire.

- Allora ci vediamo … Ti accompagno … se ti va.

- Non fa niente, meglio di no, ho da fare.

- Dai che vengo anche io e ti aiuto.

- No, no lascia stare se mi vede mio padre poi … sai com’è.

- Solo un pezzo di strada.

- No, Romo, è meglio così! E se ne andò salutando appena.

Romo non aveva esperienza, a volte era alquanto ingenuo, e non capì che quello era un modo garbato per dire che non voleva più avere a che fare con lui.

E così passò un mese senza che Romo non pensasse ostinatamente a Mara. Messaggini, squilli, sebbene fosse all’estero, ma nessuna risposta. Arrivò l’ultimo giorno d’agosto e Romo era alla piazzetta con altri amici, conversando con Gianni e Martina dei loro viaggi interessanti. Il discorso poi cadde su Mara, che era amica di Martina:

- Sì l’ho sentita al telefono Romo, devi darle tempo, lei è... particolare, ci tiene a certe cose…

- Non capisco, cosa ho fatto?

- Ci è rimasta male perché pensa che tu prendi i soldi dagli altri per passare le soluzioni ai compiti in classe. È fuori dal suo mondo un comportamento simile.

- Ma neanche li ho presi, da nessuno, e ci ho rimesso solo io, sono proprio un bel pistola!

- Ma lei non vuole sentire scuse, gliel'ho detto anch'io, ma niente, è ostinata. Dalle tempo e vedrai.

In verità neanche Martina aveva parlato con Mara, la conosceva bene e sapeva che era inutile.

- Quando torna te lo ha detto?

- Dovrebbe tornare oggi, se non è già tornata.

- Dovrò trovare il modo di parlarle e di spiegarmi. Se no muoio con questo nodo in gola.

Mara era una ragazza sincera, dolce, ma decisa. Il no era no. Punto! Frequentava l’oratorio del quartiere, e credeva veramente in quello che faceva. Romoaldo le era piaciuto, anzi l’aveva proprio colpita, ma non poteva sopportare la disonestà, anche se minima. “Chi è fedele nel minimo lo è anche nel molto” era il suo evangelico pensiero in merito a queste cose. Era giovane e non aveva ancora visto quanta profondità c’è nelle sfumature, quanto di umano sussiste nel grigio. Ma è normale a quell’età.

sabato 19 settembre 2015

Dei ragazzi della scuola e dell'amore - seconda puntata

L'avventura dei nostri ragazzi prosegue

seconda puntata



La voce si sparse, Romo ci sapeva fare con le ragazze, anche se, stranamente, non ne aveva una: i suoi amici cominciarono a chiedergli ogni tipo di suggerimento, frasi, versi e quant’altro. La notizia si diffuse anche troppo e le ragazze cominciavano a insospettirsi di sentire declamare così tanti versi da chi, fino all’altro ieri, non sapeva neanche esprimersi correttamente nella lingua natìa. 

Per Romoaldo le cose andavano bene, era voluto da tutti; amici, amici degli amici, e compagni d'istituto. Si era fatto una “posizione”, si era cucito un ruolo che non lo vedeva più emarginato. Anche altri cominciarono a cimentarsi con la poesia, credendo fosse la chiave che apriva ogni cuore. Niente di più falso! 

La poesia è arte che sorge dal cuore, al momento, e non va recitata come fosse una sorta di formula magica, occorre “sentirla dentro”, deve aprire il cuore di chi la declama prima e di chi ascolta poi ... Insomma la ragazze spesso sono molto astute, e si accorgono facilmente che qualcosa non va: troppi poeti, troppi amori, troppi versi, troppi … tentativi. E poi il culmine ci fu quando nella foga di chiedere a questa o quella di uscire, alcuni usarono le stesse parole, le stesse espressioni. Un disastro! 

Di chi volete che fosse la colpa? Di chi faceva passamano delle frasi senza un criterio e, infine, fu di Romoaldo, che ne sfornava come se fosse la catena di montaggio della letteratura, a discapito dell’originalità. Alcuni amici per ovviare all'inconveniente, lo spremettero per farsi dire qualcosa di esclusivo, ma ormai il vaso s'era rotto, e le ragazze vedevano in giro solo “i cocci”, solo falsi pretendenti.

Ma Gianni ebbe un’idea di quelle che avrebbero potuto funzionare, se ben architettate. Voleva sorprendere Martina a casa sua e attirarla fuori, nel giardino, telefonandole, cercando di farla uscire alla finestra per parlarle, in modo che la sua ragazza si convincesse che lui non era un pallone gonfiato come gli altri, un attore che recita senza cervello.

Occorreva però che Romoaldo andasse con lui, ma senza farsi vedere, e che gli stesse vicino il tanto che bastava per udire le parole di Martina e suggerire qualche risposta ad effetto. In questo il giovane poeta era bravissimo: nel nascondersi molto meno.

E Gianni non era certo esperto nell’ascoltare e riportare in diretta le parole udite senza far capire che stava parlando con frasi di altri. Lo sapevano entrambi e si esercitarono per una sera davanti al televisore rispondendo alle parole di una attrice scelta a caso, in diretta, mettendo “muto”, e abbozzando, prima Romoaldo e poi Gianni, la frase che ritenevano adatta. Gianni si era convinto ancor di più: Romo molto meno. Così optarono per un semplice auricolare.

La sera successiva andarono all'ingresso della villetta di Martina, che era la secondogenita di due sorelle. Al telefono Gianni le aveva chiesto se poteva uscire al cancello, perché intendeva consegnarle un piccolo pensiero. C’era la luna e questo aiutava. Non aiutava il cane che scorrazzava in giardino annoiato e vigile ad ogni movimento pur di avere una qualsivoglia ragione per abbaiare e azzannare.

Martina uscì. Apparve nell’ombra. Era come se la luce dalla Luna l’avesse disegnata lì, in quell’istante, e la Luna stessa non potesse poi sottrarsi dal carezzarle il volto, tanto era dolce la sua pelle. Le sue forme erano splendide, come velluto o come tenero marmo levigato, opera d’un sublime artista. Gli occhi erano fermi a fissare Gianni, di un profondo cielo scuro, nella notte, come quel cielo che raccoglie un poco di flebile sole al crepuscolo dietro i monti, insomma poche scintille baciavano, con avida sete, le sue pupille. Si guardarono un istante.

- Dimmi…

- Ecco oggi ho visto ... ho pensato che tu … ti … fosse piaciuto ... Ecco. - E le diede un pacchettino, che lei prese con emozione.

- Bello, grazie.

E cadde un gelido vento dal nord sulla bocca di Gianni che non sapeva più come andare avanti.

A romperlo fu il tentativo di Romoaldo: cercò di parlargli, ma, il cane cominciò ad abbaiare e l’auricolare gli scivolò: e, nel tentativo di non farsi vedere, passò del tempo. Finché Romo disse a Gianni:

- Dai, dille che è la più bella ragazza che hai conosciuto. - E Gianni lo fece, e

aggiunse:

- Ho pensato tutto il giorno a te. In ogni istante.

- Anche io … ti ho pensato Gianni, sai ti avevo sottovalutato prima, ma conoscendoti penso tu sia una persona profonda. - Lei lo guardò con un sorriso invitante e tacque.

Romoaldo:

- Dille che ogni volta che la vedi il tuo cuore sussulta perché in lei vedi riflessa la bellezza del Genio che ogni cosa ha creato, che vedi la mano Sua, dolce, che così l’ha voluta, così come è … che il suo viso, i suoi seni, le sue mani hanno luce di puro intento creativo, come può essere l’acqua che dal cielo cade fresca, delicata pioggia, sull’erba, su ogni fiore, allorché tocca, scivolando, scrive interminati rivi e colorata vita. Dille che è come un’apparizione che la notte fonda … - Ma Gianni gli fece cenno di tacere. Erano d’accordo che a un certo punto Romoaldo avrebbe smesso, e intanto Gianni ridisse le cose suggerite, ma come se fossero nate nel suo cuore, con un tono sicuro e gentile, che commosse Martina.

- Non è vero tutto quel che dici di me, non sono bella come dici tu.

- Sarei bugiardo se non dicessi ciò. - Gli suggerì. - Ogni cosa che ti tocca, come per incanto diventa ancor più bella. E’ il dono di chi sa coi propri occhi ricordare che sotto il cielo vi è la grazia. Persino una carezza non è soltanto un gesto, ma arte, se l’oggetto su cui posa è il viso tuo.

Stranamente Gianni non sembrò più lo spavaldo ragazzo sfaccendato della scuola, ma uno che sapeva valorizzare le cose che lo circondavano, e quella sera, col suono della voce, riuscì a dar senso all’attrazione che aveva per Martina.

Come finì?

Che Martina aprì il cancello per baciare Gianni, e per poco non sorprese il suggeritore, che si era posto a distanza ma poteva esser visto, nascosto dietro il muretto di cinta. Romoaldo quindi balzò dentro la villetta. Vi lascio immaginare quando si trovò di fronte il cane di Martina che gli ringhiava.

Atmosfera rovinata.

Romoaldo raccolse veloce l’auricolare caduto a terra, prima del cane, lo nascose, e riferì, imbarazzato, delle scuse affrettate a Martina e a Gianni, del tipo:

- Vi volevo fare una sorpresa ma il cane ancora un po’ m’azzannava.

Pù tardi Gianni raggiunse Romoaldo e andarono via. Martina doveva rientrare quasi subito:

- Cavolo Romo faticavo a starti dietro, la prossima volta cerca qualcosa di più semplice da dirmi, di meno complicato: non ce la faccio a ricordarmi tutto, non so neanche come ho fatto a dire a Martina ogni cosa: ma dove sono scritte le parole che m'hai detto?

- Non ho riportato le parole di un libro, Gianni, mi sono venute al momento … dai la prossima volta cercherò di essere semplice.

- Ma no, ripensandoci a Martina sono piaciute, hai visto? Ho fatto colpo di nuovo.

E continuarono così per un bel po'. Era l’inizio dell’estate, e con essa si avvicinavano le prove di fine anno scolastico.

Aumentavano gli stratagemmi per ottenere voti decenti, le tecniche di copiatura, i ripassi miracolosi e gli appunti magici. Servirono a poco. Chi non aveva studiato aveva poco da stare allegro. I voti difficilmente si alzarono, e misero a rischio le vacanze. Non per Romoaldo, che al liceo era un divoratore di testi scolastici, e gli amici lo sapevano bene. Andava bene in molte materie tra cui matematica, latino, greco e italiano. E così gli amici cominciarono a strappargli promesse di aiuto, di passaggi di compiti in classe e di mai realizzati ripassi insieme. Alla fine tutto il peso dei voti di alcuni compagni si pose su lui, che purtroppo non sapeva dir di no.



Venne il fatidico giorno della prova di latino. Per molti era importante; passarla significava non doversi preoccupare di una materia strategica fino all’inizio dell’anno successivo. La prova consisteva in una traduzione di un classico in italiano.

In realtà il professore aveva già notato le manovre degli alunni al suo ingresso in classe: anni d’esperienza. I più disperati erano attorno ai tre o quattro “bravissimi” della classe, come avvoltoi sulla preda. Si poteva stilare la classifica dei più svogliati partendo da coloro che erano più vicini ai “secchioni”, e tra i secchioni ovviamente c’era anche Romoaldo.

Romoaldo non era di famiglia abbiente, terzo di quattro figli, il padre era un operaio ingegnoso e volenteroso, la madre arrotondava come poteva facendo la donna delle pulizie presso alcune signore della piccola cittadina in cui vivevano. Insomma non aveva disponibilità di beni al pari di Gianni, per esempio, la cui famiglia aveva una fabbrichetta di articoli plastici ed il padre era dirigente statale.

Ma i suoi genitori erano fieri che tutti i loro figli frequentassero le superiori, Romoaldo poi era il loro orgoglio. Molti altri compagni di classe erano anch’essi di famiglia facoltosa, i più erano figli di professionisti o imprenditori. Il denaro circolava in classe e Romoaldo, il più delle volte, lo vedeva, quando lo vedeva, soltanto passare nelle mani dei compagni. In quell'occasione qualcuno glielo offrì pur di avere un “aiuto”, e lui ne parlò al padre come di una cosa positiva. Il padre però andò su tutte le furie:

- Ti manca qualcosa forse? Ci facciamo in quattro io e tua madre pur di non farvi mancare nulla ... Non farti cacciare dalla scuola se no a tua madre verrà un colpo, che lavoriamo onestamente in questa casa!

Tirate le somme, Romoaldo comprese granché della reazione del padre, e ancor meno del pericolo dal quale avrebbe voluto metterlo in guardia. Così, non ascoltando, fu l’unico della sua classe che cominciò a passare davvero qualche foglietto ai furbetti, perdendo tempo e distraendosi continuamente, fino a farsi sorprendere dal professore. Fu una tragedia!

Romoaldo gettò a terra un foglietto per Andrea il compagno che stava nel banco dietro al suo. Andrea nell'intento di raccoglierlo vide il professore avvicinarsi, lo vide provvidenzialmente, con la coda dell’occhio. Il prof ovviamente aveva assistito a tutta la scena: giunto dietro i banco di Romoaldo raccolse il foglietto lasciato in terra e, chiamato il ragazzo alla cattedra, gli chiese a chi fosse destinato. Nessuna risposta.

- Ad Andrea vero? - Domandò più precisamente. Ma vi fu ancora mutismo.

Obiettivamente la sua parte Romoaldo l'aveva fatta, non aveva parlato fino a far adirare il professore di latino che, tutti sapevano, era una persona poco paziente con chi cercava di prenderlo in giro. Si era meritato il soprannome di “notaio”, vista la facilità con cui scriveva note ad ogni occasione. Insomma, non poteva capitare peggio, il nostro amico.

Dicevamo che Romoaldo la sua parte l'aveva fatta, e per non mettere nei guai l’amico non dichiarò che il biglietto era diretto a lui, come da precedenti accordi. Ora però sarebbe toccato ad Andrea dimostrare la sua amicizia e assumersi la sua parte di colpa, evitando di costringere Romoaldo a non rispondere e a far irritare maggiormente il professore, il quale attese nervosamente per qualche secondo. Mentre attendeva il docente gesticolava nervosamente col registro di classe, che aprì più volte e richiuse, tradendo un profondo nervosismo. Ma Andrea si guardò bene dall’accusarsi. –“ tanto che cosa lo dico a fare che il biglietto era per me, Romo si è fatto beccare come un fesso, non mi son mica fatto beccare io, devo rimetterci io perché lui si è dimostrato una quaglia?”

E così fece. Romoaldo fu accompagnato in presidenza, in attesa dei genitori. La cosa assurda, nell’assurda situazione, è che Andrea neanche gli aveva anticipato i soldi promessi.

Non vi dico le lacrime e le minacce di cui fu oggetto: madre e padre si sentivano presi in giro, visto l’ammonimento del giorno prima. Il Dirigente scolastico guardò più volte il professore mentre i genitori imbarazzati chiedevano spiegazioni al figlio. Romoaldo abbozzò poche parole confuse dalla paura; quanto di più sbagliato ci sia per discolparsi! Il suo compito fu annullato e gli fu dato 3. La media fu rovinata con la conseguenza che perse la borsa di studio messa in palio da una famiglia in vista della cittadina, e che lui era quasi riuscito ad ottenere con immane fatica, la quale andò a chi proprio non ne aveva bisogno. I genitori, di conseguenza, quell’inizio d’estate lo tennero chiuso in casa, mentre gli altri suoi amici si godevano le vacanze. Tirando le somme un disastro.

sabato 12 settembre 2015

Dei ragazzi della scuola e dell'amore


Buongiorno, sono passati cinque anni da quando è stato pubblicato il mio primo libro. In verità non sembrava dovesse andare così, ma ogni amico, ogni conoscente ne volle una copia, in un passaparola che sfuggì loro di mano. 
La storia in realtà non è nata come tante altre, non è frutto di un'ispirazione, brulicava già dentro di me, nelle radure della mia coscienza, poiché, per larga parte, vi riporto le emozioni della mia prima età: l'adolescenza.
Il linguaggio è quindi serrato, rapido, essenziale, come quello dei giovani; e trasognante, colmo di ideali, come solo i ragazzi sanno esserlo.
Non immaginavo che venisse letto e fosse oggetto di tanto parlare nella mia città e vi confesso che ciò mi ha incoraggiato. 
Il testo che pubblico in queste puntate è stato epurato dalle inesattezze e dagli errori che, anche se dissonanti, rendono vivo un racconto.
Ricordiamo che uno scritto, un romanzo, se "bello", deve essere imperfetto, come il suo autore. Manzoni, Flaubert, Goethe, non avevano correttori di bozze, né editor e tantomeno uno staff che analizzava il testo prima della pubblicazione come li intendiamo oggi: loro scrivevano davvero!
Il primo cartaceo è da tempo esaurito, ma confido che, seppur epurato dall'odore della stampa, dal fragore della carta, scivoli nella vostra mente, come se fosse lì, tra le vostre mani, puntata dopo puntata, fino a insinuare in voi quel desiderio di lasciare una traccia, un commento qui o sulla  pagina facebook del Luogodeisogni.
Dopo l'ultima puntata sarà possibile scaricare il pdf completo.

Prima puntata



Francesco Granito






Dei Ragazzi,
Della Scuola e
Dell'Amore






Prima stampa cartacea novembre 2010
Seconda stampa digitale riveduta luglio 2015




Fatti e personaggi sono immaginari. Questo libro è un'opera di fantasia, personaggi e luoghi citati sono invenzione dell'autore








“A mio figlio Riccardo,
pensando alla sua gioventù... “









Dei Ragazzi, Della Scuola e Dell’Amore


Cap. 1 La prima superiore

Romoaldo era un giovane che frequentava la prima superiore in una piccola cittadina del nord e aveva molti amici. Aveva la manìa di scrivere tutto ciò che gli passava per la testa. Pensieri, massime, appunti e versi, in un diario pieno di note, frasi e poesie, che custodiva gelosamente nello zaino della scuola e che ogni tanto, anche durante le lezioni, apriva, consultava, scriveva, ricalcava e appuntava. 

Non sempre però era attento e qualche volta capitava che lo dimenticasse sul banco, tra il verde sbiadito del tavolo, in bella vista. Talvolta se ne rammentava e allora, ovunque si trovava, correva all’impazzata a recuperare l’oggetto più sacro che esista, secondo lui. Ma una volta capitò l’assurdo: lo dimenticò coi suoi vivaci colori sopra lo zaino sulla sedia, in classe e, ancora peggio, non se ne ricordò che dopo la fine dell’intervallo quando lo vide alla portata di tutti. Perse quasi la ragione nel riporlo nel segreto delle sue cose, cercando di scorgere qualche segno che ne indicasse una qualsiasi profanazione. Ma parve che nessuno si fosse accorto del suo tragico errore. 

Finite le lezioni Gianni, uno degli amici di Romoaldo, uscì dalla scuola con aria assorta, pareva che ripassasse a memoria la lezione dell’ultima ora. Si fermò a guardare la ragazza che non aveva mai avuto il coraggio di avvicinare, se non per fare uno di quei soliti scherzi che tanto odiano le compagne di classe. Alcuni amici lo raggiunsero e si fermarono con lui. Cercò con scuse puerili di allontanare gli altri ma, vedendo allontanarsi la ragazza invece che loro, si decise e la raggiunse. La guardò deciso, e lei non capì, temendo un altro stupido vezzo. Lui le prese la mano sinistra e, baciando lievemente il palmo, cosa che lei permise soltanto per la gentilezza inaspettata, le sussurrò: 

- “Fuggi da me amore, se amore non sei. 
Nulla splende più della nera notte, che abbaglia e acceca quanto e più del sole. 
Nulla sazia più di dolci parole, se dolci sono al cuor che invano geme.
Nulla vale il respirar e trattener la vita, se non per rivederti ancora e ancora.” 

- Scusa non ho capito. 

- Mi sto esercitando ad amarti, Martina. - Le disse- 

Ciò che più colpì fu la prevedibile reazione degli amici che, parzialmente, udirono e videro ciò che accadde; la fanciulla invece non ebbe reazioni. 

Anzi, parve non essere presente a quelle parole, ma, credetemi, esse le risuonarono nel cuore ogni istante da quel momento in poi. Andò a casa pensando che fossero le parole più dolci che le avessero mai rivolto, pensando che quell’insensibile di Gianni si fosse rivelato un ragazzo meraviglioso, e che lei in fondo era orgogliosa che un pretendente l’avesse ritenuta attraente a tal punto, l’avesse considerata una persona preziosa, cui rivolgere quegli splendidi versi, davanti a tutti poi, sfidando l’imbarazzo generale. 

Il mattino successivo a scuola gli amici schernivano bonariamente Gianni, che per niente intimorito si mostrava orgoglioso di aver fatto colpo su Martina. Lei dal canto suo pareva non dar più tanto peso alle sue avances e la giornata finì così. 

Passò qualche giorno e Gianni fece avere un biglietto a Martina tramite una amica che era della sua classe. Ovvio, diede un biglietto per una ragazza alla sua amica e, insomma, l'amica ci mise un momento ad aprirlo, avendo cura di non lasciare segni sullo stesso o di sgualcirlo, e a leggerne il contenuto. Rimase di stucco, lo lesse e lo rilesse ancora. Ciò che vi era scritto, per lei, era magnifico. Lo chiuse con attenzione e lo portò a Martina come se fosse un diadema. E’ per te, disse, da Gianni. Martina neanche lo guardò. Lo mise via in tutta fretta, quasi infastidita. 

Le amiche in fondo la invidiavano, era corteggiata da molti, era oggettivamente bella, coi capelli come l’oro, il viso delicato e gli occhi di un verde chiaro, profondo ed espressivo. Era sicura di sé e anche sveglia. Si dava delle arie qualche volta, ma nessuno poteva negare che potesse farlo. Comunque mise via il biglietto. L’amica moriva dalla voglia di vedere la sua reazione, ma osò un solo timido tentativo: 

- Non lo leggi? 

- No! - E non aggiunse altro. 

In realtà in qualche modo le faceva piacere che Gianni, un bel ragazzo, avesse delle attenzioni per lei, ma non bastava certo qualche frase sdolcinata per farla interessare a qualcuno: lei poteva avere chi voleva, o quasi, non aveva bisogno di decidere in fretta, e Gianni lo sapeva. Finite le lezioni il ragazzo si avvicinò a Martina: 

- Hai ricevuto il mio biglietto? 

- Si, - rispose, - ma non l’ho letto. 

- Perché? 

- Perché volevi mettermi in imbarazzo davanti a tutti come hai fatto l’altra volta? 

Gianni ci rimase male. Il suo coraggio non lo aveva ripagato, anzi, aveva indispettito Martina. Ma era un giovane di prima superiore e non conosceva a fondo il complesso mondo delle donne. 

Arrivò sera. Martina aveva finito di cenare. Stava ripassando le lezioni quando si ricordò del biglietto. Forse la rabbia le era passata, e forse, in fondo, ciò che aveva fatto Gianni le era piaciuto, seppur faticasse ad ammetterlo a mente fredda. Comunque lesse il biglietto. Vi era scritta una semplice frase: “ancora t’ho sognato … eri tu stanotte tra la veglia e il sonno? quando Morfeo chiamava per nutrirsi dei miei sogni più belli.... splendida fanciulla, sublime apparizione.” 

Come poteva suscitare in un ragazzo tali sensazioni? Pensò proprio che Gianni fosse sincero nel mostrare questo interesse e, in verità fu colpita! La colpì l’animo, la sensibilità e la profondità di Gianni... e poi la vanità sa sussurrare le altre parole che solo le donne sanno sentire. 

Ma torniamo a Romoaldo. Da qualche giorno Gianni si mostrò molto più disponibile con lui. Si interessava a ciò che faceva e diceva e in verità Romoaldo non ne comprendeva le ragioni di questo cambiamento: ma ne era alquanto contento. 

I suoi amici ora lo consideravano come uno alla pari, soprattutto perché Gianni lo trattava come tale. 

Vero è che a loro a volte appariva sulla Luna, comicamente distratto, ma ora quel suo estraniarsi di ogni tanto era considerato come una peculiare caratteristica e non più una stravaganza. 

Accadde che “Romo”, così si erano messi a chiamarlo ora, ricevette un biglietto da Martina da consegnare a Gianni. L'amico lo recapitò non appena lo vide. Gianni lo aprì subito, lo lesse avidamente e cominciò a saltare di gioia nel corridoio della scuola. Era impazzito, ma di felicità. Abbracciò Romo di istinto: 

- Grazie Romo, Grazie! - andava ripetendo, - ti darei un bacio! - E poi ridendo si allontanò, in tutta fretta, verso la classe di Martina. Romo non ci capì granché, - mi ringrazia soltanto perché gli ho portato un biglietto - risolse tra sé, e fu contento per Gianni. 

Ma era sbocciato l’amore, almeno da parte di Martina che ormai aveva pensieri solo per Gianni. 

Romoaldo non sapeva che Gianni aveva usato alcune sue frasi, rubate per caso da stralci di una commedia dal suo diario, e che con esse continuava a scrivere a Martina ogni qualvolta si sentiva di farlo. Ma tutto si svelò! 

Qualche giorno dopo Gianni corse da Romoaldo e in tutta fretta gli chiese un favore: 

- Ho appena comperato un regalo per Martina, e vorrei scriverle un biglietto, - disse in tutta fretta, - dammi un’idea per una frase adatta. 

Ormai Gianni non temeva più di non avere Martina e richiese a Romoaldo un suggerimento, un verso, senza curarsi della reazione di quest’ultimo. 

- Cosa? Una frase? Per chi? 

- Per Martina, dai, non ho tanto tempo, sta andando via. 

- E io cosa posso farci, perché lo chiedi a me? - Disse Romoaldo meravigliato. 

- Dai ne hai tante nel tuo diario, l’ho letto l’altra volta, ne troviamo una in un minuto, così faccio il biglietto. 

- Hai letto il mio diario, Gianni, non dirmi che lo hai fatto? 

- Sì, l’ho letto, e non dirmi che la tua privacy ... sono solo stronzate ... ho bisogno del tuo aiuto, ci ho provato io tutta la mattina, ma non riesco … sono troppo agitato. 

- Devi solo dire quello che già hai dentro di te Gianni, e io... cavolo, mi arrabbio se tu mi prendi ancora il diario. 

- Romo, ti prego, siamo amici, dai … è l’ultima volta … 

Insomma cedette alla richiesta dell’amico e scelsero insieme una frase adatta, fatta al momento, praticamente da Romoaldo. Gianni gli promise amicizia eterna, “di quelle che ricorderai anche dopo quarant’anni”. - Fu solo l’inizio.