sabato 14 novembre 2015

Dei ragazzi della scuola dell'amore - decima e ultima puntata

L'avventura dei nostri ragazzi con questa puntata si conclude, per ora... 
a breve il pdf del racconto completo


DECIMA PUNTATA

Cap. 7 Due luci nel buio 

All’aperto, lungo i viali della cittadina la vita riprendeva. Volentieri ci s'incontrava e ci si attardava per strada, agli occhi del cielo. Il freddo ormai non costringeva più a richiudersi tra le calde mura di casa. Così Romoaldo quando passava da Mara per andare all’oratorio, spesso si fermava da lei, e il tratto che portava ai cortili vicino alla chiesa li facevano a piedi, chiacchierando di massimi sistemi, di matematica o di latino; cercando di aiutarsi l’un l’altra o di confortarsi per i voti rimediati. Erano giovani e ancora dovevano scoprire che il voto, in molte cose, è semplicemente relativo.

Qualche giorno dopo, al baretto, Diego sorprese ancora gli amici. Lo zio gli aveva messo a disposizione per il lunedì dell’Angelo un bilocale ad Angera, sul lago. Invitò tutti i ragazzi della sua compagnia.

- È stupendo, siete tutti invitati. C’è un panorama da sogno, raga. Nessun problema per il trasporto, la ferrovia ci porta fino al lago e dalla stazione occorre meno di un chilometro per arrivare … anzi qualora si voglia è possibile andare già dalla domenica sera.

- Difficile che i miei mi diano il permesso per la notte. - Disse Mara.

- Anche i miei. - Confermò Martina. - Mio padre mi ammazza solo se glielo chiedo.

Riccardo e Sergio intanto facevano i piani su come trascorrere la giornata al lago. Romoaldo pensò che sarebbe stato bello passare un intero giorno con Mara e con gli amici. Gianni invece non era entusiasta. Ormai da un po' più nulla più lo esaltava, era indifferente a tutto. Disse che ci sarebbe andato anche lui solo perché glielo chiese un paio di volte Martina.

- Da soli non ci faranno andare neanche morti i nostri genitori, raga!

- Vero, nulla da fare allora. - Sentenziò sconsolata Martina.

- Mi sarebbe piaciuta una giornata al lago. Ma si può andare lo stesso tutti insieme un po’ più vicino, no? - Propose Riccardo.

- Io e Isabella andiamo ad un raduno di motociclisti quel giorno. - Disse Luigi.

- Ragazzi, mio zio mi ha detto che lui sarebbe andato su dal venerdì, per cui un adulto ci sarà; con la sua fidanzata anche. Se qualcuno ha problemi con i genitori diciamo che siamo con loro. Mio zio è d’accordo. Lui starà a casa, visto che ha da fare e noi andremo al lago senza impicci.

- Sì e se poi ci telefonano e lo vogliono ringraziare, o... salutare, con chi parlano con sto coso?

- Tranquillo. - Rispose Diego. - Mio zio va e viene, starà sempre nei paraggi.

E così fecero. Il lunedì successivo giornata di lago. La fortuna volle che ci fosse uno splendido sole. Il lago frangeva le calme onde sulla riva, un leggero vento rendeva l’aria piacevole e la compagnia degli amici aveva il sapore del cielo. Trovarono posto in una piccola spiaggetta vicino alla casa che li ospitava. Non si svestirono subito; al mattino l’aria era ancora fresca e andarono al baretto a fare colazione. Riccardo e Sergio passarono l’inizio della mattinata a corteggiare qualunque ragazza fosse a loro tiro; sulla spiaggia, nel bar, in acqua. Tutto sommato erano simpatici e allegri e alle ragazze non dispiacevano affatto i loro approcci. Gianni per un pò giocò a carte con Romoaldo, poi i due offrirono un gelato a tutti e si allontanarono con le ragazze. Diego, che aveva progettato tutto, dovette aiutare lo zio in un piccolo lavoro di riparazione domestica nella casa vicino alla spiaggetta. Li raggiunse dopo un’oretta abbondante. A mezzogiorno panini al bar in riva al lago, lettura della Gazzetta dello Sport da poco arrivata e bevuta generale, finché Riccardo fece delle avances alla ragazza sbagliata. Era una diciottenne, ma stava con un venticinquenne in compagnia di due trentenni. Insomma un vero caos, il tutto innaffiato di birra. Dopo il primo avvertimento, il secondo … non ci fu il terzo. Il ragazzo diede uno spintone improvviso a Riccardo che era seduto al tavolino con Sergio e Diego che gli dava le spalle. Cadde da farsi male davvero, non fece in tempo a rialzarsi che gli volò addosso una sedia, di quelle di plastica leggera, fortunatamente. Diego prese il telefonino e chiamò lo zio mentre si mise tra i litiganti.

Sergio si alzò d’istinto e prese una sedia per ripararsi e aiutare l’amico. Il barista intervenne alzando la voce e riuscì a calmare le acque, ma quando tutto sembrava finito l’aggressore sferrò un calcio al ventre di Riccardo che cadde a terra senza fiato; non se lo aspettava e il colpo fu troppo violento. Gli mancò il respiro per alcuni interminabili secondi.

Nel frattempo c’era stato un fuggi-fuggi generale dal locale, che attirò l’attenzione di Gianni e Romoaldo dalla spiaggetta. Arrivarono anche loro, mentre i tre aggressori, troppo ubriachi per ragionare, si avventavano contro Diego e Sergio che cercavano di aiutare Riccardo ancora a terra. Gianni capì subito e presa una sedia la fece roteare con violenza verso la faccia dei tre. Diede il tempo agli amici di soccorrere Riccardo e di tirarlo su per farlo respirare meglio. Ma quei tre erano troppo anche per Gianni, che cominciò a prenderle e si riparò sollevando un tavolino. Il barista chiamò i carabinieri e prese un bastone per difendere Gianni. Gli altri amici andarono anch’essi ad aiutare lo sventurato. Arrivò lo zio Cesare, che era stato avvisato da Diego. Fortunatamente era ben piazzato e con il barista tenne testa agli ubriachi, senza quasi arrivare alle mani.

Arrivarono i carabinieri. Riccardo si riprese e fu condotto con gli altri al pronto soccorso per accertamenti. Finì con minacce e un procedimento penale da avviare, fino a che arrivarono i genitori al pronto soccorso. Al posto di polizia dell’ospedale furono messi al corrente dei fatti.

- Si configura il reato di rissa, signori, e in questi casi si procede d’ufficio contro tutti i coinvolti. - Fu detto chiaramente a ragazzi e genitori.

Quindi furono raccolte le dichiarazioni e a nulla valsero le spiegazioni che erano stati aggrediti dai tre ubriachi: era la loro parola contro quella dei tre, che non risultarono, sfortunatamente, gli unici ad aver bevuto.

Finché fu sentito anche il gestore del locale che, per soccorrere i ragazzi, era scivolato procurandosi un ematoma al fianco. Dopo le cure il barista confermò la versione dei ragazzi e suffragò la dichiarazione, informando che il locale era videosorvegliato.

Il ritorno a casa fu una sequela di rimproveri e raccomandazioni. Ma alla fine tutti erano consci che sarebbe potuta andar peggio. Ci fu un miracolo forse; un barista generoso che li difese fino all’ultimo e lo zio di Diego che non si era mai allontanato troppo dai ragazzi e che era intervenuto quasi subito.

Tutti a scuola seppero della loro “avventura”, anche perché i lividi erano ancora visibili. In un modo o nell’altro si parlava sempre di quel gruppo di amici. Naturalmente i protagonisti lo raccontarono un pò a modo loro, ma negli occhi rimasero impresse la violenza gratuita e la cattiveria che possono muovere le azioni degli esseri umani. I ragazzi sapevano perfettamente il rischio che avevano corso, e questo li fece crescere.

Passarono i giorni ed arrivò l’ultima partita di campionato. La squadra di Gianni era balzata al primo posto dopo un serie di vittorie che avevano dell’incredibile, i giocatori erano in piena forma e sulle ali dell’entusiasmo erano diventati un rullo compressore. Lo sport era l’unica cosa che sollevava il morale di Gianni. La partita della domenica mattina finì con uno schiacciante 4-0 per la rappresentativa di Parabiago: che vinse il torneo interregionale. Gianni siglò due goals memorabili e Martina, con gli amici, fece un tifo indiavolato. Seguirono festeggiamenti anche nel pomeriggio al bar del campo sportivo. Inutile dire che qualcuno che aveva bevuto troppo rischiò di rovinare la festa. Ma la gioia era tanta e l’orgoglio passò sopra ai dispetti di qualche invidioso che, annebbiato dall’alcol, trovò motivi per criticare squadra e società.

Dopo cena Romoaldo e Mara erano seduti sui gradini all’entrata dell’oratorio. Avevano trascorso parte della serata a chiacchierare di tutto. Stranamente erano rimasti soli. Nei cortili, nei locali pochissima gente. Il cielo sull’imbrunire era sereno. Pareva quasi che il suono della loro voce saziasse la voglia di tenerezza che ognuno prova di quando in quando. Finirono a parlare di loro stessi, di cosa sentivano l’uno per l’altra. Allora il tempo smise di scorrere. Il cielo pareva adagiarsi di fianco a loro, ad ascoltare curioso, e le stelle facevano a gara per guardare gli occhi di lei, che per timidezza spesso socchiudeva. Mara d’un tratto non proferì parola. Lo baciò appoggiando brevemente le labbra su quelle di lui. Il tutto sortì un sorriso allegro e fugace in lei. Lui colse la gioia di quell’attimo e le prese una mano. La portò al cuore.

- Senti? … senti cosa dice?

Lei sorrise ancora.

- No, Romoaldo. Cosa dovrebbe dirmi?

La baciò.

- Ti ha parlato, ora … hai sentito.

- Sì, mi ha parlato, tenero e gentile nunzio del tuo amore … lascia che gli risponda allora! - E lo baciò teneramente, e quindi ancora.

Fu lieve tocco di labbra. Sentieri di corpi vicini, pensieri all’unisono, respiri che sussurrano. Lui con le dita seguì i tratti del viso come un tocco di petali, finendo a carezzare i capelli morbidi e gentili. Non c’era suono allora, non c’era luna, neanche il mondo; soltanto l’infinito dei pensieri belli.

- Io non so cosa sia l’amore - disse – qual magia incanta, qual musa conduce al cuore la voce tua sincera. Chi ha scritto quel che succede allora nel mio petto, qual mano sia che ordinò ai sensi di destarsi fino a che l’amore alberghi in me, io non so, Mara.

La guardò negli occhi. Ancora silenzio tra loro, quello che s'ode salire fino in cielo. Poi continuò:

- Credi all’amore eterno, Mara?

- Credo.

- Non c’è luogo in cielo che sia privo di stelle; e tale sei, ragione ultima e pienezza d'ogni mio pensiero. Non so se il firmamento abbia a morire un giorno, ma affido a lui, navigatore, quel che per te provo, in fin che tra le acque del suo tempo non abbia a terminare lo sciabordìo del cuore.

- Anche io ti amo, Romo. La purezza del mio essere trova senso nell’averti atteso.

L’attrazione che i due ragazzi provavano strinse i loro corpi in un abbraccio, di quelli che, guancia a guancia, risolvono nei baci tra collo e viso, ove ogni respiro è un delicato tocco di pelle.

Finché il silenzio fu rotto dal rumore di un ciclomotore che si fermò ai piedi della scalinata. Tolti i caschi, nel buio, sottoluce, riconobbero le sagome di Martina e Gianni.

- Gianni! - Fù sorpreso Romoaldo.

- Sì, siamo noi, vi abbiamo visto da lontano, ci sembravate proprio voi.

- Stiamo andando a casa. - Continuò Romoaldo.

- Vedo, vedo. - Rispose con ironia Gianni.

Avvicinandosi, Gianni raccontò una cosa accaduta poco prima.

- Insomma era lì, il deficiente, al paese piccolo, con quella cretina! A quest’ora.

- Ma sei sicuro Gianni? - Chiese Mara sgranando gli occhi per l’incredulità. – Tuo padre? Con una bionda?

- Gli ho detto cosa cavolo facesse. Prima mi ha chiesto cosa facevo io in giro a quest’ora, poi come stavo, poi se volevamo bere qualcosa. Allora gli ho urlato cosa stracavolo facesse in quel bar … assurdo, mi ha detto che era con una collega dopo il lavoro a bere un caffè prima di andare a casa. - Disse con disgusto - Ma chi pensa di prendere in giro sto vigliacco! Avevo voglia di mettergli le mani addosso, è senza ritegno.

- Ma sei sicuro che erano insieme? - Chiese Romoaldo.

- Un caffè a mezzanotte, ma dove si è mai sentita? - Pensò ad alta voce Gianni.

- E la donna cosa ha detto?

- Prima del nostro arrivo se la ridevano, si toccavano le mani, lei lo ha accarezzato un paio di volte sulla guancia, sta … li ho osservati per un po’ prima di andare da loro, volevo essere sicuro di non fraintendere.

- Non posso crederci, non diresti mai che i tuoi possano fare cose del genere. - Concluse perplessa Mara.

- Se non ci credete chiedete a Martina, ha visto anche lei.

- Meglio non dire niente agli altri, raga. Voi siete gli unici che lo sapete. - Disse Martina.

I due ragazzi accompagnarono Martina e Mara alle rispettive case. Era veramente tardi. Poi col ciclomotore di Gianni andarono verso la casa di Romoaldo. Gianni era stravolto. Si fermò e pianse, mentre l’amico taceva e lo ascoltava.

- Cosa devo fare? Devo dirlo a mia madre? Non so cosa fare.

- Forse lo dirà lui a tua madre.

Cercò il modo di consolarlo. Ripresero ad andare parlando continuamente. Non avevano messo il casco per farlo. Erano troppo presi ad ascoltare il dolore, a comprenderlo, a farvi fronte nel modo che quell’età può suggerire, e non si accorsero di una macchina che, pensando non ci fosse nessuno per strada a quell’ora, tagliò uno stop laterale. Poi silenzio … Lungo la strada soltanto due fari nel buio.

sabato 7 novembre 2015

Dei ragazzi della scuola e dell'amore - nona puntata

Ci avviciniamo alla fine di quest'avventura dei nostri ragazzi

NONA PUNTATA

Cap. 6 Il brivido sulla tua pelle

Venne il tempo dei preparativi natalizi. Ognuno fu preso dalla “febbre” dei regali.

Si progettavano cene, si prenotavano viaggi. Come ogni anno in oratorio si pensò di adornare le stanze e la cappella maggiore. I Confratelli pensarono ad organizzare per le festività dei gazebo in piazza Maggiolini. Le idee fioccavano, ma Guido e Fabrizio parevano particolarmente ispirati e coinvolsero Romoaldo. Don Vittorio nell'omelia domenicale focalizzò l’attenzione sulla necessità di sentire dentro di sé la nascita del Cristo e pose l’accento sui valori che ognuno doveva coltivare nel cuore; il natale “non è solo espressioni esteriori di gioia, sebbene queste siano corrette”, concluse.

I ragazzi a modo loro sentivano le festività: assenza di scuola, mattinate a dormire dopo le ore piccole, e giornate intere all’aperto con gli amici, nonostante il freddo. Romoaldo era impegnato coi preparativi dei Confratelli. Gli amici, invece, scorrazzavano per la cittadina. Ma anche lui, finiti gli impegni all’oratorio, si univa volentieri a loro. In questo periodo gli studi andavano a rilento, ma era comprensibile.

La mattina di S. Stefano Gianni telefonò a Martina. Era presto e lei rispose a fatica.

- Non ho dormito tutta la notte. - Disse con voce turbata.

- Cosa è successo?

- I miei sono usciti, vieni qui, voglio farti leggere una lettera.

- Sto andando da Isabella, la mia amica. Ci possiamo vedere alle undici?

- Non ho dormito tutta la notte, Martina, ho ricevuto una notizia che mi fa stare male.

- Va bene, Gianni, dammi il tempo di arrivare da te.

Martina corse con lo scooter. Tagliò qualche stop, arrivò in un attimo.

- Cosa è successo? - Aveva gli occhi sbarrati.

- Guarda, leggila, prima che arrivino i miei.

- Dove sono andati? - Gli chiese prendendo in mano una lettera.

- A fare spese, o almeno così mi hanno detto.

Lesse attentamente le prime righe, poi disse di botto:

- Ma i tuoi divorziano! Ma perché? Non ne sapevi niente? - Lo riempì di tutte domande che le uscirono a raffica, senza ascoltare la risposta che aveva cominciato a darle Gianni, il quale ripeté, una volta calmata:

- Sì, a quanto pare divorziano. Deve essere la lettera che l’avvocato di mamma ha mandato a mio padre.

- Come l’hai avuta?

- Cercavo il portafogli di mio padre. Quando ho bisogno di soldi lo faccio, poi glielo dico.

- Non ne sapevi niente, vero?

- No. - E ci fu un sordo guardare, un brivido; un accecante dir nulla. Entrarono in camera, riposero la lettera nel cassetto, tra i documenti dove l'aveva trovata il giorno prima Gianni, tra le camice di raso del padre e le cravatte mai usate negli ultimi anni.

- Ma dalla lettera pare che tua madre dia la colpa a tuo padre di aver fatto qualcosa.

- Era nel comodino di mio padre. Lui sa, dunque, l’ha ricevuta. Saprà anche cosa ha fatto, è un grande …

Non finì la frase, un singhiozzo di emozioni gli bloccò la voce. Martina lo abbracciò e gli carezzò il viso teneramente.

- Cosa faccio ora? Dico che lo so? Faccio finta di niente? E dove saranno andati i miei? Non capisco più niente.

- Ascolta … - disse la ragazza - … telefona ai tuoi per avvisarli che vieni a casa mia, mangia da me oggi ... così avremo il tempo di pensarci su.

E così fecero. Non dissero nulla agli altri amici, Gianni non se la sentiva di sopportare la sequela di domande e di suggerimenti che ne sarebbero scaturiti.

Il pomeriggio i due passarono al baretto, fecero in tempo a sentire la discussione già in corso:

- Mi sono rotto, lo studio non fa per me … così come vi ho detto a gennaio mi ritiro, ho già un posto all’agenzia immobiliare di mio zio, quella vicino al comune. - Disse Diego risoluto.

- Ma fai bene. - Ribatté Luigi. - Io non posso, i miei mi ammazzerebbero, ma mi sono stufato. È dura studiare sempre, gli ho proposto di cambiare indirizzo di studi … niente da fare … allora m'impegno giusto il poco per sopravvivere.

- Pare proprio che non ci capiscono. - Anche Riccardo aggiunse lamentele su lamentele.

- Sempre i soliti discorsi su quanto è difficile guadagnarsi da vivere … ma cavolo e i nostri problemi?

- Ma cosa farai Diego? - Chiese Gianni. - Non ho sentito, sono arrivato adesso.

- Agente immobiliare con mio zio Cesare. È uno a posto, ci puoi parlare, capisce i giovani. M'ha detto che m'insegna tutto lui, l’agenzia è sua.

- Ma tu sei matto.- Interruppe Mara. - Ma non puoi fare entrambe le cose? Se ti piace andare a lavorare con tuo zio ci vai nel pomeriggio.

- Sì, e quando mi diverto?

- Ma se lui non fa un bel niente tutto il giorno, te lo vedi ad impegnarsi a scuola e in più al lavoro? Ah ah ah … - Rise di gusto Luigi.

- Ma piantala imbecille!

- Dai un pò è vero. - Rise di gusto Sergio. - Non hai voglia di fare un bel niente.

E la conversazione continuò su questi toni. Gianni comunque ne trasse beneficio perché almeno s'era distratto dal pensiero dei suoi, finché ricevette una telefonata dalla madre che gli chiese di tornare a cena.

Rispose poche parole e con distacco.

In casa non disse niente della lettera. Decise così, forse perché c’era spazio per un chiarimento, per una riappacificazione, e attese gli eventi. Ma una cosa lo turbava fino nel fondo dell’anima. Qualunque fosse la causa, di chiunque fosse la colpa, l’amore per un figlio non era sufficiente a superarla? Non riuscivano a perdonare? Cominciò a detestare i suoi genitori, cambiò atteggiamento con loro, divenne indisponente e tagliente. La cosa che maggiormente lo colpì fu che loro a questi cambiamenti non ci fecero caso; erano troppo presi ad ascoltare il loro dolore e a odiarsi l’un l’altra. Quelli erano giorni bui.

Passò pian piano l’inverno. Tra proponimenti di studi, nuove sfide per il lavoro, e pensieri indifferenti verso i genitori. Cominciarono le severe battute d’arresto nei rendimenti scolastici, cominciarono compiti in classe e, insieme all'ultima neve, fioccavano anche voti mediocri, bassi: per alcuni molto bassi.

Pareva che i prof fossero diventati più severi, o gli argomenti più difficili. Chissà forse la vita al di fuori della scuola distraeva facilmente i giovani di quell’età, e il calo dei voti serviva proprio a rimetterli in carreggiata. Il fatto è che agli studenti provocarono soltanto rabbia e frustrazione.

Diego pareva andare a gonfie vele all’agenzia dello zio. Aveva assunto l’aria di un esperto venditore incravattato, ma aveva molto da imparare su proprietà, diritti reali o personali e sul modo di trattare con i clienti; lo zio dovette avere molta pazienza con lui.

Sergio passava i pomeriggi al baretto o a scorazzare col ciclomotore. Aveva talento per il calcio giocato ma non si era mai impegnato in qualcosa che non fosse obbligatorio: calcio o altri sport. Era un appassionato, però, e compilava schedine su schedine tra totocalcio e superenalotto, a ritmi ossessionanti. Spesso coinvolgeva gli amici convincendoli con elaborati sistemi di sua invenzione.

Luigi era ormai guarito e alla fine dell’inverno aveva ripreso a pieno ritmo le attività. Era un patito di motori, non si perdeva in televisione una prova o una gara di qualsiasi cosa avesse a che fare coi pistoni. Il box di casa sua era enorme e il padre gli aveva dato il permesso di attrezzarvi, in fondo al locale, una piccola officina dove passava molto tempo a fare esperimenti e ad elaborare i ciclomotori per gli amici. Isabella si appassionò anch’ella alle gare, frequentandolo. Spesso si chiudevano in casa per ore a vederle. Non litigavano molto, l’unico motivo era l’altra passione di Luigi, la birra. Lei sospettava che fosse passato anche ai goccetti di superalcolici e fu un'aspra battaglia.

Riccardo era il più scanzonato. Il più allegro. Era decisamente un bel ragazzo. Brillante e col grano sempre in tasca. Non aveva una ragazza fissa. Sentì in un film che amarne una sola equivaleva a odiare le altre, allora usava dire, scherzando, che aveva il cuore tenero. Aveva la parlantina sciolta e la risposta pronta. Viveva la vita come sa viverla un simpatico mascalzone: il fatto è che coi suoi 15 anni sapeva farsi voler bene da coloro che conosceva.

Gianni dimenticò la storia dei genitori, o meglio, li ignorò. Loro non gli dissero mai nulla e per questo li detestò ancora di più; pensava volessero tenerlo fuori dalle cose che ritenevano importanti, così creò una sorta di muro, si dedicò alla sua gioventù, alla ragazza e agli amici. A calcio dava il massimo, il campionato andava bene, erano terzi. Non beveva mai troppo, era severo con se stesso se ad una cosa ci teneva. Era forte fisicamente ma, nonostante la stazza, era assai agile. Giravano voci che qualche grosso club poteva interessarsi a lui, visto che si faceva notare a suon di gol; era il capocannoniere alle interregionali. Con Martina alti e bassi, come per la maggior parte dei ragazzi di quell’età. Lei era innamorata della sua personalità di leader. Lui era meno romantico ma ci teneva a lei, più di ogni altra cosa.

Romoaldo era un sognatore, scriveva continuamente racconti, frasi e poesie. Aveva fatto leggere qualcosa soltanto a Mara, che ne fu entusiasta e propose a Don Vittorio di prendere il giovane come collaboratore alla stesura del prossimo testo teatrale.

Don Vittorio dopo aver letto alcuni suoi brani accettò di buon grado, non prima di averlo indottrinato in merito alla linea culturale della parrocchia. In oratorio Romoaldo strinse un’amicizia profonda con Alberto e Sergio, due confratelli molto gentili e profondi. Con loro passava parecchio tempo a chiacchierare durante le attività. Non mancavano tensioni e sgarbatezze, tra volontari; del resto ci sono in ogni luogo frequentato da molte persone, pensava, e occorreva capire con chi avere a che fare. Gli studi andavano bene, sebbene anche lui ebbe alcune difficoltà a tenere il passo. I mesi tra gennaio e marzo possono essere pesanti per chi studia. Ma, tutto sommato, era un buon periodo per lui, ragazzo timido e sensibile. Mara lo adorava, aveva notato il suo sforzo per entrare nel mondo che lei frequentava, e le amicizie che si era fatto; aveva notato che gli piaceva quel mondo.

E così arrivò primavera.

Aprile ha un suono particolare, di neve disciolta, di luce frangente, di verde smeraldo … ha piccole macchie brillanti del sole che muta e soffi di vento umido che attende nei prati. Ha voci di grilli nascosti, di fiori recisi, di tiepidi corsi d’acqua piovana. Ha palpiti forti di giovani amanti, di piccole storie che muovono il cielo, di nuovi sorrisi e baci cercati … d’aprile si veste l’amore.