sabato 31 ottobre 2015

Dei ragazzi della scuola e dell'amore - ottava puntata

ancora con i ragazzi

OTTAVA PUNTATA

Cap. 5 Martina e Gianni 

Era da poco iniziato dicembre. Una domenica mattina alcuni amici, giunti all’ospedale a trovare Luigi, videro che stava meglio. Si stava riprendendo, anche se parlava ancora a fatica. L’ematoma che aveva interessato la testa stava regredendo. Non lo affaticarono e si risolsero a brevi saluti, ai baci e a strette di mano. Usciti dal reparto, Gianni confessò al nostro amico che con Martina le cose andavano male.

- Sì, è venuta da me qualche giorno fa dicendomi che tu facevi la corte ad una ragazza di prima C. Ho provato a smentire, Gianni, ma non mi ha creduto.

- Praticamente mi ha lasciato, Romo, e non ci sto dentro. La chiamo continuamente ma non risponde, si fa negare. M'ha detto che ha parlato con sua madre e che anche lei le ha consigliato di mollarmi. Ma che cavolo, non può farsi i fatti suoi quella! Tutto il giorno a far niente ma quando c’è da rompere le scatole è la prima. Romo … se hai consigli lo sai che ci tengo al tuo aiuto.

- Sì, ma cosa posso fare, non posso parlare io per te.

- No, devi solo darmi un'idea, uno spunto, qualcosa che la convinca che la amo e la faccia tornare da me.

- E ti sembra facile? cosa posso dirti?

- Romo, dai, aiutami. Lo scriverei a tutto il mondo che la voglio, io che le voglio bene, davvero!

- Lo scriveresti … hai avuto un’ideona! Scriviamolo sulla strada davanti a casa sua a caratteri cubitali, con la vernice, questa notte, io e te; scriviamo che la ami con lettere tanto enormi, così gigantesche, da divenire onde del mare agitato.

- La amo? Proprio così dobbiamo scrivere, Romo?

- La ami! proprio così, se vuoi convincerla devi esporti.

- Ma lo leggeranno tutti. Scriviamo che non so stare senza di lei, e che sta sbagliando tutto…

- E che la ami, hai paura a dirlo? … e che ti manca, se la vuoi rivedere!

E così fecero. Comprarono due rulli una tanica di bianco e si vestirono con abiti adatti. Erano pronti ad affrontare l’ennesima sfida per l'amore, quello eterno, quello inviolabile, quello che baciava il destino in fondo alle loro vite.

- Perché le ragazze queste cose non le fanno? - Si lamentò Romo con l'amico. - Solo noi siamo disposti a gesti ridicoli pur di farci notare.

- Forse perché non vogliono faticare come noi. O forse perché hanno altri argomenti per farsi notare... non lo so, insomma

- E stasera avrei dovuto ripassare letteratura per l’interrogazione di domani. - Disse sconsolato Romoaldo.

- Dai Romo tra amici. Poi quando avrai bisogno ...

E durante quelle elucubrazioni trasportavano a fatica la tanica e tutto l’occorrente, in precario equilibrio sul ciclomotore che ciondolava ubriaco. Dondolando ad ogni metro presero a discutere animatamente della frase da scrivere.

- Ti faccio la foto Gianni. - Disse ridendo.

- Per favore dopo quello che è successo con le campane no, eh!

Dopo un breve tratto in motorino arrivarono al viale Matteotti e si prepararono. Cominciarono dall’inizio con lettere che erano grandi quanto l’intera carreggiata, da un lato all’altro.

- Bisogna fare attenzione a scrivere correttamente, perché con lettere enormi e così lentamente è facile confondersi e sbagliare. - Disse Romoaldo, e poi aggiunse: - Per non scrivere il nome di Martina useremo il vezzeggiativo che le hai dato tu, Gianni.

- Il nomignolo, vuoi dire, tipo cara, pussy, gattina?

- Sì sì, proprio quello.

Quindi cominciò l’impresa. Gianni prese il rullo e tracciò la prima lettera. Per la seconda Romoaldo non fece in tempo a finirla che giunse una macchina.

- Cavolo se continuano a passare ci rovinano il lavoro. Disse con rabbia Romo.

- Sì, dobbiamo tirare i rulli così la vernice asciuga prima, - spiegò Gianni. - Ci metteremo più tempo ma è l’unico modo.

- Azz…

In un modo o nell’altro, e qualche volta interrotti, finirono dopo un’oretta abbondante. Tempo tutto sommato accettabile. Si erano impegnati, e ci avevano preso gusto. Forse troppo: poiché cominciarono a pensare cosa scrivere in altre vie, magari per prendere per i fondelli gli amici.

- Aspetta, prima di andare via rileggiamo il tutto.

- Sì, ammiriamo la nostra opera d’arte!

La scritta era lunga circa 60 metri, spropositatamente enorme: “Non posso stare senza di te, Ciccina. Non spezzarmi il cuore. Siamo nati l’uno per l’altra. Mi manchi, TI AMO, G.”.

Calcolarono il tutto in modo che risultasse la parola “cuore” proprio davanti a casa di Martina. Poi Gianni, preso un pennello, le volle disegnare un cuore sul muro di cinta. Ci pensò ancora e scrisse un grosso “TI AMO” sulla via di fronte alla sua villa.

Poi lasciò un cuore su ogni albero lì vicino. Insomma l’amico dovette fermarlo allorché stava iniziando, con le suole imbevute nella vernice, a tracciare le orme dei passi davanti a casa di Martina con l’intenzione di arrivare fino alla propria casa.

Faceva freddo ormai, quel freddo che ti entra nelle ossa, ed era tardi. Ma la missione era compiuta, comunque. Nessuno li aveva visti e agli altri non lo avevano detto: e tutto era andato liscio. Gianni mandò un SMS a Martina dicendole che la mattina seguente avrebbe avuto una piacevole sorpresa guardando la strada di casa sua.

Nulla da dire su quell'idea: tali cose colpiscono le ragazze. Colpisce l’impegno, la fantasia, la forza d’animo. La volontà dei ragazzi di metterle al centro delle loro attenzioni. Le parole erano forse un pò scontate, ma di sicuro effetto.

E lei alla sola vista della loro opera d'arte impazzì per Gianni, cotanto amore le aveva toccato il cuore.

Lo chiamò prima di andare a scuola. Lo accolse a braccia aperte all’entrata, e nell’intervallo corse nel corridoio per vederlo e stare con lui. Insomma era cotta a puntino. Ne parlarono le sue amiche per giorni. Ne fu fatta una sorta di reportage fotografico da molti ragazzi della scuola. Gianni era un bel ragazzo e per di più brillante: erano la coppia più invidiata a scuola in quel momento.

Passò qualche giorno e dicembre s'accorciò. C'era un freddo pazzesco e gli amici si chiudevano per qualche ora nel bar della piazzetta fino a che ognuno andava per la propria strada.

Romoaldo aveva iniziato a frequentare assiduamente l’oratorio. Don Vittorio lo teneva d’occhio, e quando non c’era lui lo faceva controllare praticamente a vista da alcuni giovani di cui si fidava. Era pur sempre uno degli autori della scampanata. Pian piano i suoi convincimenti ebbero la conferma: era un tipo un po' nelle nuvole ma aveva un animo nobile e sensibile. E infine quel ragazzino gli piacque, così lo invitò a dare una mano al teatro della parrocchia in maniera assidua, cominciando con montaggio e smontaggio. Don Vittorio aveva chiesto ad alcuni dei Confratelli, genitori che sbrigavano volentieri le questioni pratiche delle attività parrocchiali, di prendere sotto le loro ali protettive il fanciullo, e di farlo lavorare.

Così Paolo, Claudio, Emanuele, Giovanni, Tonino e altri divennero pian piano suoi amici. Avevano in media 30-35 anni più di lui, ma divennero affiatati compagni di lavoro nei preparativi delle attrezzature del palco per gli spettacoli.

Un bel giorno, per la precisione un sabato pomeriggio di metà dicembre, al baretto si presentò anche Luigi. Ci fu festa ed emozione tra gli amici. Era finalmente uscito dall’ospedale. Tutti si strinsero intorno a lui.

Dapprima gli chiesero le condizioni di salute, poi quando sarebbe tornato sui banchi di scuola. Quindi fu il turno di far vedere le cicatrici dell’incidente e di spiegare una per una come se le fosse procurate. Insomma erano davvero entusiasti di riabbracciare l’amico ritornato.

- Offro un giro di birra per Luigi. - Disse Gianni.

- E Isabella? L’hai più rivista, Luigi? - Chiese Mara.

- Sì, sì. Mi è venuta a trovare spesso, è stata carinissima. Dovrebbe venire qui anche lei.

- No, io no la birra, una coca cola. - Disse Riccardo, che tutto sommato aveva salutato Luigi ma se ne stava un po' in disparte: Luigi lo aveva notato.

- Non bevi una birretta con me come ai vecchi tempi, Ricky?

- Cosa? No, io no.

- Dai ci tengo. Come ai vecchi tempi Ricky. - E gli diede una pacca sulla spalla.

A questa manifestazione di amicizia ci fu silenzio. Era importante, cementava il gruppo e nessuno voleva perdersela. I due si guardarono un attimo negli occhi. Poi Riccardo confessò:

- È stata colpa mia Luigi, e tu ancora mi parli?

- Colpa di cosa?

- Non te lo ricordi? La statale, io che ti incitavo a correre?

- E allora? Colpa tua perché?

- Per colpa mia sei caduto e quasi ti ammazzavi!

- Ma cosa dici. E poi non ricordo granché. Io so che tu mi hai aiutato, no?

- Non ricordi che avevamo bevuto tutto il pomeriggio? Io avevo bevuto di meno però; tu t'eri sbronzato subito e io facevo finta di bere ancora. Eri piegato!

- E allora? Quante volte l’ho fatto io, o un altro, non si era obbligati a bere.

. Ma mi ero reso conto che guidare per te era pericoloso, sbandavi, ti alzavi in piedi, chiudevi gli occhi e ridevi come un matto, ma io non ho fatto nulla per fermarti, volevo solo divertirmi, ero euforico.

Riccardo guardò fisso nel vuoto e cominciarono a lacrimargli gli occhi. Nessuno parlava. Luigi mise il bicchiere sul tavolo. Prese il telefonino dalla tasca e cominciò a toccare i tasti quasi come per distrarsi, ma stava pensando alle parole udite.

- Scusami Luigi. Sono un bastardo, ma non volevo che ti succedesse questo.

Poi Riccardo si alzò e andò verso l’uscita, fermandosi alla porta. Non guardò indietro, si mise il cappello, prese il casco e le chiavi del motorino e uscì.

Gli amici rimasero senza parole, impietriti. Luigi l'aveva visto uscire, senza seguirlo con lo sguardo. Poi mise il telefono sul tavolo, si alzò un pò a fatica e guardando Riccardo gridò:

- Ricky! … Ricky … aspetta. E andò verso di lui.

- Dimmi.

- Tu non volevi farmi del male, secondo me eri storto di birra anche tu, almeno un pò. Sei il mio migliore amico e ora bevi con me altrimenti mi offendo.

Sorrise Riccardo.

- Ma come, io mi sono comportato da idiota e tu sei ancora mio amico?

- Sono fatto così. - Disse scherzando.

- Sei fatto male, Luigi, ma sei un grande. Sei un amico.

- Allora, bevi?

- Sì, ma non la birra, credimi non ho più il coraggio di bere dopo averti visto per terra privo di sensi. Ho avuto ... paura che fossi morto. Sono morto anche io con te su quella strada.

- C’era un angelo con me, Ricky, un pò bevuto, ma c’era … mi hanno raccontato tutto, sai.

Intanto i ragazzi uscirono pian piano per raggiungere i due amici e tirarono un sospiro di sollievo vedendoli insieme. Era un freddo pomeriggio quello alle porte dell’inverno. Scendeva un vento gelido, al sapore di neve, portava le montagne, e l’aria, quasi divertita, correva giù fino a noi, in pianura, veloce foriera di fiocchi imbiancati.

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