sabato 17 ottobre 2015

Dei ragazzi della scuola e dell'amore - sesta puntata

ancora in compagnia dei ragazzi

SESTA PUNTATA

                           Cap. 4 La resa dei conti

La mattina successiva tutti in classe. I prof già da qualche giorno li avevano messi a lavorare e loro, malvolentieri, cercavano di stare al passo con gli studi. Tra tutti, Romoaldo era quello più disposto a “sudare” sui libri, ne provava una sorta di piacere; per lui ogni concetto nuovo, ogni approfondimento, era una scoperta, un’avventura, quasi una conquista.

All’intervallo Mara chiese a Romoaldo se quella domenica era disposto ad andare con lei e le amiche dell’oratorio e in chiesa.

- Va bene, ci verrò. - Lo disse, ma malvolentieri. Non era abituato, non la sentiva una cosa sua. E l’espressione del viso lo tradì.

- Dai provaci Romo, ci tengo. Poi vedrai che ti piacerà davvero. - Disse cambiando tono. Il sorriso e l’interesse che aveva per lui lo indussero a ripensarci.

- Ma sai io la domenica mattina studio un po', poi esco con gli amici a fare un giro, verso mezzogiorno.

I genitori di Romo non frequentavano la chiesa, erano troppo indaffarati a sbarcare il lunario. La madre andava a fare le pulizie un paio d’ore in un ufficio la domenica mattina. Il padre si godeva l’unica vera giornata di riposo e, per aiutare in casa, preparava il pranzo. In effetti entrambi dicevano ai figli di andare in chiesa, lo ripetevano parecchie volte, ma mai nessuno lo fece, finché si stancarono di ripeterlo. Insomma Romoaldo non era proprio dell’idea.

- A che ora ci vediamo Mara?

- Alle 9,45 in piazza. La funzione inizia alle 10, ma si va un momento prima per sistemare un pò. Ok?

Suonò la campanella e i ragazzi andarono nelle proprie aule. Il pomeriggio di sabato alcuni si trovarono in piazzetta. Non avevano i ciclomotori e non potevano muoversi troppo. Cominciavano ad annoiarsi. Non si sa come spuntò fuori un pallone. Qualche passaggio, dei tiri e si finì a giocare una partitella. Le ragazze non c’erano. Martina era a ritmica, ad una delle sue gare in trasferta. Mara era all’oratorio e le altre chissà dove. Terminata la partita Diego si avvicinò a Romo.

- Sai quelle poesie che scrivi per le ragazze? - Disse asciugandosi il sudore della fronte con la maglietta, - quelle d’amore che mi hai dato a scuola?

- Sì, più che dato io le hai volute tu, e poi Giovanna ti ha beccato che nemmeno le sapevi. - Rispose Romoaldo.

- Ho conosciuto una ragazza l’altro giorno, mi piace, e stasera devo andare da lei, a casa sua, per un ripasso di storia … insomma se hai una poesia magari gliela regalo, sai com’è.

- Magari … ma tutti da me venite? Ne trovi quante ne vuoi sui libri di letteratura.

- Lo so, ma le tue sono originali, mi serve, dai.

- La verità e che non avete voglia neanche di cercarvele … si … passa da me prima di andare da lei, te ne do una, già su pergamena, così farai anche bella figura … ma almeno leggila stavolta.

- Sei un’amico Romo, chiedimi qualunque cosa.

Smisero di giocare sudati e contenti e andarono al baretto.

- Chi si fa una birretta, raga?

Romoaldo un pò sconsolato confidò agli amici che l’indomani mattina sarebbe dovuto andare in chiesa con Mara.

- Ci tiene, ma proprio non mi va, non conosco nessuno, che ci vado a fare in chiesa?

- Anche io devo andarci, se no i miei mi fanno una menata. - Disse Diego. - Troviamoci lì alle 10 così poi ci facciamo l’aperitivo senza che ci vedono i matusa.

I genitori di Diego lo spingevano a frequentare la chiesa, e il più delle volte gli toccava andare alle funzioni domenicali. Questo diede slancio a Romoaldo, anche perché ci teneva a non deludere Mara.

Così venne la domenica mattina. Mara si aspettava di vedere Romo intorno alle 9,45; aspettò con pazienza poi, alquanto seccata, perché non lo vide, entrò, salutò gli amici, andò in canonica e, salutati anche il prete e il sacrestano, si diede da fare con le panche e i foglietti della messa, che erano da sistemare dopo la funzione delle 8,30. Faceva tutto non trascurando di guardare in giro ogni tanto, per vedere se Romoaldo fosse arrivato. Ma la funzione iniziò.

In realtà il ragazzo era arrivato pochi istanti prima che iniziasse la messa, ma Diego aveva insistito per rimanere in fondo, tra le ultime file. L'amico non taceva un momento, commentava tutto ridacchiando sottovoce, faceva ogni cosa tranne che stare attento a ciò che accadeva in chiesa. Tacque soltanto quando il prete, nell’omelia, commentò i fatti, successi ad inizio settimana, relativi alla scampanata a suon di musica. Fu un'esternazione molto amara, quasi pesante, sul rispetto del luogo sacro, del sentimento religioso di chi lo frequenta e sulla educazione alla vita che i rispettivi genitori non erano riusciti a far comprendere ai figli; sul valore del convivere civile.

- Spero - disse il prevosto alla fine - che questi ragazzi ricevano le dure conseguenze del loro agire, pari alla loro insensibilità e alla loro inciviltà.

Vi fu silenzio in chiesa. I due ragazzi rimasero immobili. Qualcuno forse li aveva riconosciuti poiché si sentivano osservati, molto osservati. Dopo qualche minuto passò la signora col cesto delle offerte. Sarà stata soltanto una sensazione ma pareva proprio che li fissasse, con occhi che sembrarono penetranti. Tacquero per il resto della messa e non si mossero dalla panca neanche alla fine, facendo finta di leggere i foglietti, nella speranza di evitare i presenti e di filarsela a chiesa svuotata.

- Ah, eccoli qui.

- Mara.

- Sì, potevo così aspettarti.

- Ci sono! E stavo leggendo il foglietto.

- Ho visto, ma avresti potuto cercarmi o farmi un cenno, avrei evitato di guardare per tutto il tempo in giro.

Silenzio.

- Dai che ti presento al Prevosto.

Ancora più silenzio.

-Ah, sta arrivando il sacrestano, comincio a farti conoscere lui.

Profondo silenzio, glaciale.

Era come se in chiesa fosse apparso un cherubino e avesse congelato i due ragazzi, seduta stante, sulla panca. Non sapevano come uscirne, il sacrestano aveva visto benissimo Diego insieme a Gianni quel giorno, mentre gli chiedevano spiegazioni per dare il tempo a Riccardo di cambiare il CD.

La fortuna volle che il sacrestano fu “placcato” da una signora che lo trattenne parecchio tempo, così, nell’attesa che si liberasse, il prete andò via e Diego trovò la scusa che doveva scappare dai suoi che lo aspettavano per andare dai nonni, e se ne andarono.

Il mattino successivo, all’entrata della scuola, Romoaldo scoprì che tra i ragazzi girava il video della scampanata e visti gli altri cercò di avvertirli.

- Avete sentito, raga? Siamo su internet, siamo famosi ... ah ah ah. - Stava già dicendo Gianni agli amici.

- Mitico … siamo grandi, tutti si ricorderanno di noi!

Suonò la campanella d’entrata e la discussione sfumò tra i flussi degli alunni.

In classe c’era già la prof d'italiano. Romoaldo era ammutolito per quella notizia, non ne era contento, aveva paura che la voce giungesse ai suoi. Che li addolorasse, soprattutto la madre. Non commentò euforico come gli altri, e ne aveva tutte le ragioni.

Nel tardo pomeriggio arrivò una telefonata a casa dei ragazzi coinvolti dalla bravata. Era la parrocchia. Fu chiesto gentilmente se la sera successiva i genitori dei ragazzi avrebbero potuto recarsi in canonica per un breve colloquio riguardante i loro figli. Nelle case l’aria divenne bollente.

Dopo un breve e finto sbigottimento, alcuni confessarono subito il probabile motivo della chiamata. Scattarono punizioni esemplari, quasi delle ritorsioni. Tra i genitori ci fu chi parlò più con le mani che con la bocca, pensando che quello che i loro figli non riuscivano a capire con le parole l’avrebbero compreso più efficacemente col dolore. Altri li umiliarono con insulti irripetibili. A Romoaldo toccò la cosa per certi versi peggiore. Dopo aver confessato con parole tristi e un atteggiamento sommesso il padre gli gridò in faccia quanto fosse deluso, gli vomitò addosso che gli altri fratelli erano meglio di lui, che era un ingrato, gli scaricò addosso tutta la rabbia e la vergogna che provava. Il ragazzo provò ad accennare una spiegazione. Nulla, lo fece infuriare di più. In un accesso d’ira, gesticolando, urtò il televisore che rovinò a terra. La rabbia divenne furore, si avvicinò al figlio minaccioso. Fu l’intervento della madre, che vide il marito fuori di sé, a calmarlo il tanto che bastò ad evitare conseguenze peggiori. Fu un trauma per Romo. La lezione l’aveva imparata, ma le parole del padre lo svuotarono della stima che ogni adolescente è bene che abbia.

I ragazzi passarono tutti dei momentacci, ma chi tra loro aveva un carattere “forte e indifferente” in breve ci passò sopra. I genitori dal canto loro, dopo la sgradevole sensazione di vergogna e di collera, cominciarono a chiedersi perché il Parroco intendesse incolpare proprio i loro figli; iniziarono a domandarsi quali prove avesse e quali intenzioni lo muovessero e, soprattutto, come si permetteva di avanzare certe accuse … e via discorrendo; il tutto, senza neanche aver sentito cosa avesse da dire il sacerdote e, soprattutto, con quali propositi.

Il mattino seguente a scuola i ragazzi erano infuriati. Nel corridoio all’intervallo si chiesero chi avesse messo in rete il filmato.

- E’ tuo il telefonino del menga che ha ripreso la scena, Sergio, che cavolo ci hai fatto, a chi l’hai dato, imbecille? - Accusò Gianni tenendo Sergio per la maglietta. Anche gli altri erano infuriati e non difesero l’amico. Aspettavano una risposta. Che arrivò con voce tremante.

- L’ho passato a tutti voi, lo avete voluto tutti il filmato, cosa volete da me.

- Si può sapere chi ha messo di mezzo internet, allora? - Chiese Riccardo.

- Demente, dicci chi è stato, tu lo sai! Se no ti gonfio, sei tu quello fissato con ste cose. - Incalzò Gianni. - tu e la tua idea di vacca di riprendere tutto col telefonino.

Sergio non sapeva più cosa dire e allora dopo le parole seguirono i fatti. Gianni strattonò Sergio con violenza, una, due, tre volte, finché Sergio reagì per difendersi. Era quello che Gianni aspettava per colpire l’amico più volte … finché gli altri li separarono. Sergio era pestato per bene. E agli altri non dispiaceva granché. Sapevano che probabilmente non era stato lui a mettere il video su internet, non si sarebbe mai auto incolpato, ma poco importava, aveva fatto lui il filmato e un responsabile dovevano pur trovarlo.

Visto il trattamento subìto, Sergio andò su tutte le furie e proprio mentre suonava la campanella gridò col fiato che aveva in corpo:

- Bastardi, però ieri mattina ridevate anche voi: “siamo famosi, siamo famosi” e adesso è solo colpa mia … io non so neanche chi l’ha messo quel file in giro, bastardi!

Lasciarono lì Sergio, con le sue botte, a guardarsi la maglietta strappata e i graffi sul petto. Erano troppo presi con le loro punizioni, con i loro problemi.

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