sabato 19 settembre 2015

Dei ragazzi della scuola e dell'amore - seconda puntata

L'avventura dei nostri ragazzi prosegue

seconda puntata



La voce si sparse, Romo ci sapeva fare con le ragazze, anche se, stranamente, non ne aveva una: i suoi amici cominciarono a chiedergli ogni tipo di suggerimento, frasi, versi e quant’altro. La notizia si diffuse anche troppo e le ragazze cominciavano a insospettirsi di sentire declamare così tanti versi da chi, fino all’altro ieri, non sapeva neanche esprimersi correttamente nella lingua natìa. 

Per Romoaldo le cose andavano bene, era voluto da tutti; amici, amici degli amici, e compagni d'istituto. Si era fatto una “posizione”, si era cucito un ruolo che non lo vedeva più emarginato. Anche altri cominciarono a cimentarsi con la poesia, credendo fosse la chiave che apriva ogni cuore. Niente di più falso! 

La poesia è arte che sorge dal cuore, al momento, e non va recitata come fosse una sorta di formula magica, occorre “sentirla dentro”, deve aprire il cuore di chi la declama prima e di chi ascolta poi ... Insomma la ragazze spesso sono molto astute, e si accorgono facilmente che qualcosa non va: troppi poeti, troppi amori, troppi versi, troppi … tentativi. E poi il culmine ci fu quando nella foga di chiedere a questa o quella di uscire, alcuni usarono le stesse parole, le stesse espressioni. Un disastro! 

Di chi volete che fosse la colpa? Di chi faceva passamano delle frasi senza un criterio e, infine, fu di Romoaldo, che ne sfornava come se fosse la catena di montaggio della letteratura, a discapito dell’originalità. Alcuni amici per ovviare all'inconveniente, lo spremettero per farsi dire qualcosa di esclusivo, ma ormai il vaso s'era rotto, e le ragazze vedevano in giro solo “i cocci”, solo falsi pretendenti.

Ma Gianni ebbe un’idea di quelle che avrebbero potuto funzionare, se ben architettate. Voleva sorprendere Martina a casa sua e attirarla fuori, nel giardino, telefonandole, cercando di farla uscire alla finestra per parlarle, in modo che la sua ragazza si convincesse che lui non era un pallone gonfiato come gli altri, un attore che recita senza cervello.

Occorreva però che Romoaldo andasse con lui, ma senza farsi vedere, e che gli stesse vicino il tanto che bastava per udire le parole di Martina e suggerire qualche risposta ad effetto. In questo il giovane poeta era bravissimo: nel nascondersi molto meno.

E Gianni non era certo esperto nell’ascoltare e riportare in diretta le parole udite senza far capire che stava parlando con frasi di altri. Lo sapevano entrambi e si esercitarono per una sera davanti al televisore rispondendo alle parole di una attrice scelta a caso, in diretta, mettendo “muto”, e abbozzando, prima Romoaldo e poi Gianni, la frase che ritenevano adatta. Gianni si era convinto ancor di più: Romo molto meno. Così optarono per un semplice auricolare.

La sera successiva andarono all'ingresso della villetta di Martina, che era la secondogenita di due sorelle. Al telefono Gianni le aveva chiesto se poteva uscire al cancello, perché intendeva consegnarle un piccolo pensiero. C’era la luna e questo aiutava. Non aiutava il cane che scorrazzava in giardino annoiato e vigile ad ogni movimento pur di avere una qualsivoglia ragione per abbaiare e azzannare.

Martina uscì. Apparve nell’ombra. Era come se la luce dalla Luna l’avesse disegnata lì, in quell’istante, e la Luna stessa non potesse poi sottrarsi dal carezzarle il volto, tanto era dolce la sua pelle. Le sue forme erano splendide, come velluto o come tenero marmo levigato, opera d’un sublime artista. Gli occhi erano fermi a fissare Gianni, di un profondo cielo scuro, nella notte, come quel cielo che raccoglie un poco di flebile sole al crepuscolo dietro i monti, insomma poche scintille baciavano, con avida sete, le sue pupille. Si guardarono un istante.

- Dimmi…

- Ecco oggi ho visto ... ho pensato che tu … ti … fosse piaciuto ... Ecco. - E le diede un pacchettino, che lei prese con emozione.

- Bello, grazie.

E cadde un gelido vento dal nord sulla bocca di Gianni che non sapeva più come andare avanti.

A romperlo fu il tentativo di Romoaldo: cercò di parlargli, ma, il cane cominciò ad abbaiare e l’auricolare gli scivolò: e, nel tentativo di non farsi vedere, passò del tempo. Finché Romo disse a Gianni:

- Dai, dille che è la più bella ragazza che hai conosciuto. - E Gianni lo fece, e

aggiunse:

- Ho pensato tutto il giorno a te. In ogni istante.

- Anche io … ti ho pensato Gianni, sai ti avevo sottovalutato prima, ma conoscendoti penso tu sia una persona profonda. - Lei lo guardò con un sorriso invitante e tacque.

Romoaldo:

- Dille che ogni volta che la vedi il tuo cuore sussulta perché in lei vedi riflessa la bellezza del Genio che ogni cosa ha creato, che vedi la mano Sua, dolce, che così l’ha voluta, così come è … che il suo viso, i suoi seni, le sue mani hanno luce di puro intento creativo, come può essere l’acqua che dal cielo cade fresca, delicata pioggia, sull’erba, su ogni fiore, allorché tocca, scivolando, scrive interminati rivi e colorata vita. Dille che è come un’apparizione che la notte fonda … - Ma Gianni gli fece cenno di tacere. Erano d’accordo che a un certo punto Romoaldo avrebbe smesso, e intanto Gianni ridisse le cose suggerite, ma come se fossero nate nel suo cuore, con un tono sicuro e gentile, che commosse Martina.

- Non è vero tutto quel che dici di me, non sono bella come dici tu.

- Sarei bugiardo se non dicessi ciò. - Gli suggerì. - Ogni cosa che ti tocca, come per incanto diventa ancor più bella. E’ il dono di chi sa coi propri occhi ricordare che sotto il cielo vi è la grazia. Persino una carezza non è soltanto un gesto, ma arte, se l’oggetto su cui posa è il viso tuo.

Stranamente Gianni non sembrò più lo spavaldo ragazzo sfaccendato della scuola, ma uno che sapeva valorizzare le cose che lo circondavano, e quella sera, col suono della voce, riuscì a dar senso all’attrazione che aveva per Martina.

Come finì?

Che Martina aprì il cancello per baciare Gianni, e per poco non sorprese il suggeritore, che si era posto a distanza ma poteva esser visto, nascosto dietro il muretto di cinta. Romoaldo quindi balzò dentro la villetta. Vi lascio immaginare quando si trovò di fronte il cane di Martina che gli ringhiava.

Atmosfera rovinata.

Romoaldo raccolse veloce l’auricolare caduto a terra, prima del cane, lo nascose, e riferì, imbarazzato, delle scuse affrettate a Martina e a Gianni, del tipo:

- Vi volevo fare una sorpresa ma il cane ancora un po’ m’azzannava.

Pù tardi Gianni raggiunse Romoaldo e andarono via. Martina doveva rientrare quasi subito:

- Cavolo Romo faticavo a starti dietro, la prossima volta cerca qualcosa di più semplice da dirmi, di meno complicato: non ce la faccio a ricordarmi tutto, non so neanche come ho fatto a dire a Martina ogni cosa: ma dove sono scritte le parole che m'hai detto?

- Non ho riportato le parole di un libro, Gianni, mi sono venute al momento … dai la prossima volta cercherò di essere semplice.

- Ma no, ripensandoci a Martina sono piaciute, hai visto? Ho fatto colpo di nuovo.

E continuarono così per un bel po'. Era l’inizio dell’estate, e con essa si avvicinavano le prove di fine anno scolastico.

Aumentavano gli stratagemmi per ottenere voti decenti, le tecniche di copiatura, i ripassi miracolosi e gli appunti magici. Servirono a poco. Chi non aveva studiato aveva poco da stare allegro. I voti difficilmente si alzarono, e misero a rischio le vacanze. Non per Romoaldo, che al liceo era un divoratore di testi scolastici, e gli amici lo sapevano bene. Andava bene in molte materie tra cui matematica, latino, greco e italiano. E così gli amici cominciarono a strappargli promesse di aiuto, di passaggi di compiti in classe e di mai realizzati ripassi insieme. Alla fine tutto il peso dei voti di alcuni compagni si pose su lui, che purtroppo non sapeva dir di no.



Venne il fatidico giorno della prova di latino. Per molti era importante; passarla significava non doversi preoccupare di una materia strategica fino all’inizio dell’anno successivo. La prova consisteva in una traduzione di un classico in italiano.

In realtà il professore aveva già notato le manovre degli alunni al suo ingresso in classe: anni d’esperienza. I più disperati erano attorno ai tre o quattro “bravissimi” della classe, come avvoltoi sulla preda. Si poteva stilare la classifica dei più svogliati partendo da coloro che erano più vicini ai “secchioni”, e tra i secchioni ovviamente c’era anche Romoaldo.

Romoaldo non era di famiglia abbiente, terzo di quattro figli, il padre era un operaio ingegnoso e volenteroso, la madre arrotondava come poteva facendo la donna delle pulizie presso alcune signore della piccola cittadina in cui vivevano. Insomma non aveva disponibilità di beni al pari di Gianni, per esempio, la cui famiglia aveva una fabbrichetta di articoli plastici ed il padre era dirigente statale.

Ma i suoi genitori erano fieri che tutti i loro figli frequentassero le superiori, Romoaldo poi era il loro orgoglio. Molti altri compagni di classe erano anch’essi di famiglia facoltosa, i più erano figli di professionisti o imprenditori. Il denaro circolava in classe e Romoaldo, il più delle volte, lo vedeva, quando lo vedeva, soltanto passare nelle mani dei compagni. In quell'occasione qualcuno glielo offrì pur di avere un “aiuto”, e lui ne parlò al padre come di una cosa positiva. Il padre però andò su tutte le furie:

- Ti manca qualcosa forse? Ci facciamo in quattro io e tua madre pur di non farvi mancare nulla ... Non farti cacciare dalla scuola se no a tua madre verrà un colpo, che lavoriamo onestamente in questa casa!

Tirate le somme, Romoaldo comprese granché della reazione del padre, e ancor meno del pericolo dal quale avrebbe voluto metterlo in guardia. Così, non ascoltando, fu l’unico della sua classe che cominciò a passare davvero qualche foglietto ai furbetti, perdendo tempo e distraendosi continuamente, fino a farsi sorprendere dal professore. Fu una tragedia!

Romoaldo gettò a terra un foglietto per Andrea il compagno che stava nel banco dietro al suo. Andrea nell'intento di raccoglierlo vide il professore avvicinarsi, lo vide provvidenzialmente, con la coda dell’occhio. Il prof ovviamente aveva assistito a tutta la scena: giunto dietro i banco di Romoaldo raccolse il foglietto lasciato in terra e, chiamato il ragazzo alla cattedra, gli chiese a chi fosse destinato. Nessuna risposta.

- Ad Andrea vero? - Domandò più precisamente. Ma vi fu ancora mutismo.

Obiettivamente la sua parte Romoaldo l'aveva fatta, non aveva parlato fino a far adirare il professore di latino che, tutti sapevano, era una persona poco paziente con chi cercava di prenderlo in giro. Si era meritato il soprannome di “notaio”, vista la facilità con cui scriveva note ad ogni occasione. Insomma, non poteva capitare peggio, il nostro amico.

Dicevamo che Romoaldo la sua parte l'aveva fatta, e per non mettere nei guai l’amico non dichiarò che il biglietto era diretto a lui, come da precedenti accordi. Ora però sarebbe toccato ad Andrea dimostrare la sua amicizia e assumersi la sua parte di colpa, evitando di costringere Romoaldo a non rispondere e a far irritare maggiormente il professore, il quale attese nervosamente per qualche secondo. Mentre attendeva il docente gesticolava nervosamente col registro di classe, che aprì più volte e richiuse, tradendo un profondo nervosismo. Ma Andrea si guardò bene dall’accusarsi. –“ tanto che cosa lo dico a fare che il biglietto era per me, Romo si è fatto beccare come un fesso, non mi son mica fatto beccare io, devo rimetterci io perché lui si è dimostrato una quaglia?”

E così fece. Romoaldo fu accompagnato in presidenza, in attesa dei genitori. La cosa assurda, nell’assurda situazione, è che Andrea neanche gli aveva anticipato i soldi promessi.

Non vi dico le lacrime e le minacce di cui fu oggetto: madre e padre si sentivano presi in giro, visto l’ammonimento del giorno prima. Il Dirigente scolastico guardò più volte il professore mentre i genitori imbarazzati chiedevano spiegazioni al figlio. Romoaldo abbozzò poche parole confuse dalla paura; quanto di più sbagliato ci sia per discolparsi! Il suo compito fu annullato e gli fu dato 3. La media fu rovinata con la conseguenza che perse la borsa di studio messa in palio da una famiglia in vista della cittadina, e che lui era quasi riuscito ad ottenere con immane fatica, la quale andò a chi proprio non ne aveva bisogno. I genitori, di conseguenza, quell’inizio d’estate lo tennero chiuso in casa, mentre gli altri suoi amici si godevano le vacanze. Tirando le somme un disastro.

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