sabato 14 novembre 2015

Dei ragazzi della scuola dell'amore - decima e ultima puntata

L'avventura dei nostri ragazzi con questa puntata si conclude, per ora... 
a breve il pdf del racconto completo


DECIMA PUNTATA

Cap. 7 Due luci nel buio 

All’aperto, lungo i viali della cittadina la vita riprendeva. Volentieri ci s'incontrava e ci si attardava per strada, agli occhi del cielo. Il freddo ormai non costringeva più a richiudersi tra le calde mura di casa. Così Romoaldo quando passava da Mara per andare all’oratorio, spesso si fermava da lei, e il tratto che portava ai cortili vicino alla chiesa li facevano a piedi, chiacchierando di massimi sistemi, di matematica o di latino; cercando di aiutarsi l’un l’altra o di confortarsi per i voti rimediati. Erano giovani e ancora dovevano scoprire che il voto, in molte cose, è semplicemente relativo.

Qualche giorno dopo, al baretto, Diego sorprese ancora gli amici. Lo zio gli aveva messo a disposizione per il lunedì dell’Angelo un bilocale ad Angera, sul lago. Invitò tutti i ragazzi della sua compagnia.

- È stupendo, siete tutti invitati. C’è un panorama da sogno, raga. Nessun problema per il trasporto, la ferrovia ci porta fino al lago e dalla stazione occorre meno di un chilometro per arrivare … anzi qualora si voglia è possibile andare già dalla domenica sera.

- Difficile che i miei mi diano il permesso per la notte. - Disse Mara.

- Anche i miei. - Confermò Martina. - Mio padre mi ammazza solo se glielo chiedo.

Riccardo e Sergio intanto facevano i piani su come trascorrere la giornata al lago. Romoaldo pensò che sarebbe stato bello passare un intero giorno con Mara e con gli amici. Gianni invece non era entusiasta. Ormai da un po' più nulla più lo esaltava, era indifferente a tutto. Disse che ci sarebbe andato anche lui solo perché glielo chiese un paio di volte Martina.

- Da soli non ci faranno andare neanche morti i nostri genitori, raga!

- Vero, nulla da fare allora. - Sentenziò sconsolata Martina.

- Mi sarebbe piaciuta una giornata al lago. Ma si può andare lo stesso tutti insieme un po’ più vicino, no? - Propose Riccardo.

- Io e Isabella andiamo ad un raduno di motociclisti quel giorno. - Disse Luigi.

- Ragazzi, mio zio mi ha detto che lui sarebbe andato su dal venerdì, per cui un adulto ci sarà; con la sua fidanzata anche. Se qualcuno ha problemi con i genitori diciamo che siamo con loro. Mio zio è d’accordo. Lui starà a casa, visto che ha da fare e noi andremo al lago senza impicci.

- Sì e se poi ci telefonano e lo vogliono ringraziare, o... salutare, con chi parlano con sto coso?

- Tranquillo. - Rispose Diego. - Mio zio va e viene, starà sempre nei paraggi.

E così fecero. Il lunedì successivo giornata di lago. La fortuna volle che ci fosse uno splendido sole. Il lago frangeva le calme onde sulla riva, un leggero vento rendeva l’aria piacevole e la compagnia degli amici aveva il sapore del cielo. Trovarono posto in una piccola spiaggetta vicino alla casa che li ospitava. Non si svestirono subito; al mattino l’aria era ancora fresca e andarono al baretto a fare colazione. Riccardo e Sergio passarono l’inizio della mattinata a corteggiare qualunque ragazza fosse a loro tiro; sulla spiaggia, nel bar, in acqua. Tutto sommato erano simpatici e allegri e alle ragazze non dispiacevano affatto i loro approcci. Gianni per un pò giocò a carte con Romoaldo, poi i due offrirono un gelato a tutti e si allontanarono con le ragazze. Diego, che aveva progettato tutto, dovette aiutare lo zio in un piccolo lavoro di riparazione domestica nella casa vicino alla spiaggetta. Li raggiunse dopo un’oretta abbondante. A mezzogiorno panini al bar in riva al lago, lettura della Gazzetta dello Sport da poco arrivata e bevuta generale, finché Riccardo fece delle avances alla ragazza sbagliata. Era una diciottenne, ma stava con un venticinquenne in compagnia di due trentenni. Insomma un vero caos, il tutto innaffiato di birra. Dopo il primo avvertimento, il secondo … non ci fu il terzo. Il ragazzo diede uno spintone improvviso a Riccardo che era seduto al tavolino con Sergio e Diego che gli dava le spalle. Cadde da farsi male davvero, non fece in tempo a rialzarsi che gli volò addosso una sedia, di quelle di plastica leggera, fortunatamente. Diego prese il telefonino e chiamò lo zio mentre si mise tra i litiganti.

Sergio si alzò d’istinto e prese una sedia per ripararsi e aiutare l’amico. Il barista intervenne alzando la voce e riuscì a calmare le acque, ma quando tutto sembrava finito l’aggressore sferrò un calcio al ventre di Riccardo che cadde a terra senza fiato; non se lo aspettava e il colpo fu troppo violento. Gli mancò il respiro per alcuni interminabili secondi.

Nel frattempo c’era stato un fuggi-fuggi generale dal locale, che attirò l’attenzione di Gianni e Romoaldo dalla spiaggetta. Arrivarono anche loro, mentre i tre aggressori, troppo ubriachi per ragionare, si avventavano contro Diego e Sergio che cercavano di aiutare Riccardo ancora a terra. Gianni capì subito e presa una sedia la fece roteare con violenza verso la faccia dei tre. Diede il tempo agli amici di soccorrere Riccardo e di tirarlo su per farlo respirare meglio. Ma quei tre erano troppo anche per Gianni, che cominciò a prenderle e si riparò sollevando un tavolino. Il barista chiamò i carabinieri e prese un bastone per difendere Gianni. Gli altri amici andarono anch’essi ad aiutare lo sventurato. Arrivò lo zio Cesare, che era stato avvisato da Diego. Fortunatamente era ben piazzato e con il barista tenne testa agli ubriachi, senza quasi arrivare alle mani.

Arrivarono i carabinieri. Riccardo si riprese e fu condotto con gli altri al pronto soccorso per accertamenti. Finì con minacce e un procedimento penale da avviare, fino a che arrivarono i genitori al pronto soccorso. Al posto di polizia dell’ospedale furono messi al corrente dei fatti.

- Si configura il reato di rissa, signori, e in questi casi si procede d’ufficio contro tutti i coinvolti. - Fu detto chiaramente a ragazzi e genitori.

Quindi furono raccolte le dichiarazioni e a nulla valsero le spiegazioni che erano stati aggrediti dai tre ubriachi: era la loro parola contro quella dei tre, che non risultarono, sfortunatamente, gli unici ad aver bevuto.

Finché fu sentito anche il gestore del locale che, per soccorrere i ragazzi, era scivolato procurandosi un ematoma al fianco. Dopo le cure il barista confermò la versione dei ragazzi e suffragò la dichiarazione, informando che il locale era videosorvegliato.

Il ritorno a casa fu una sequela di rimproveri e raccomandazioni. Ma alla fine tutti erano consci che sarebbe potuta andar peggio. Ci fu un miracolo forse; un barista generoso che li difese fino all’ultimo e lo zio di Diego che non si era mai allontanato troppo dai ragazzi e che era intervenuto quasi subito.

Tutti a scuola seppero della loro “avventura”, anche perché i lividi erano ancora visibili. In un modo o nell’altro si parlava sempre di quel gruppo di amici. Naturalmente i protagonisti lo raccontarono un pò a modo loro, ma negli occhi rimasero impresse la violenza gratuita e la cattiveria che possono muovere le azioni degli esseri umani. I ragazzi sapevano perfettamente il rischio che avevano corso, e questo li fece crescere.

Passarono i giorni ed arrivò l’ultima partita di campionato. La squadra di Gianni era balzata al primo posto dopo un serie di vittorie che avevano dell’incredibile, i giocatori erano in piena forma e sulle ali dell’entusiasmo erano diventati un rullo compressore. Lo sport era l’unica cosa che sollevava il morale di Gianni. La partita della domenica mattina finì con uno schiacciante 4-0 per la rappresentativa di Parabiago: che vinse il torneo interregionale. Gianni siglò due goals memorabili e Martina, con gli amici, fece un tifo indiavolato. Seguirono festeggiamenti anche nel pomeriggio al bar del campo sportivo. Inutile dire che qualcuno che aveva bevuto troppo rischiò di rovinare la festa. Ma la gioia era tanta e l’orgoglio passò sopra ai dispetti di qualche invidioso che, annebbiato dall’alcol, trovò motivi per criticare squadra e società.

Dopo cena Romoaldo e Mara erano seduti sui gradini all’entrata dell’oratorio. Avevano trascorso parte della serata a chiacchierare di tutto. Stranamente erano rimasti soli. Nei cortili, nei locali pochissima gente. Il cielo sull’imbrunire era sereno. Pareva quasi che il suono della loro voce saziasse la voglia di tenerezza che ognuno prova di quando in quando. Finirono a parlare di loro stessi, di cosa sentivano l’uno per l’altra. Allora il tempo smise di scorrere. Il cielo pareva adagiarsi di fianco a loro, ad ascoltare curioso, e le stelle facevano a gara per guardare gli occhi di lei, che per timidezza spesso socchiudeva. Mara d’un tratto non proferì parola. Lo baciò appoggiando brevemente le labbra su quelle di lui. Il tutto sortì un sorriso allegro e fugace in lei. Lui colse la gioia di quell’attimo e le prese una mano. La portò al cuore.

- Senti? … senti cosa dice?

Lei sorrise ancora.

- No, Romoaldo. Cosa dovrebbe dirmi?

La baciò.

- Ti ha parlato, ora … hai sentito.

- Sì, mi ha parlato, tenero e gentile nunzio del tuo amore … lascia che gli risponda allora! - E lo baciò teneramente, e quindi ancora.

Fu lieve tocco di labbra. Sentieri di corpi vicini, pensieri all’unisono, respiri che sussurrano. Lui con le dita seguì i tratti del viso come un tocco di petali, finendo a carezzare i capelli morbidi e gentili. Non c’era suono allora, non c’era luna, neanche il mondo; soltanto l’infinito dei pensieri belli.

- Io non so cosa sia l’amore - disse – qual magia incanta, qual musa conduce al cuore la voce tua sincera. Chi ha scritto quel che succede allora nel mio petto, qual mano sia che ordinò ai sensi di destarsi fino a che l’amore alberghi in me, io non so, Mara.

La guardò negli occhi. Ancora silenzio tra loro, quello che s'ode salire fino in cielo. Poi continuò:

- Credi all’amore eterno, Mara?

- Credo.

- Non c’è luogo in cielo che sia privo di stelle; e tale sei, ragione ultima e pienezza d'ogni mio pensiero. Non so se il firmamento abbia a morire un giorno, ma affido a lui, navigatore, quel che per te provo, in fin che tra le acque del suo tempo non abbia a terminare lo sciabordìo del cuore.

- Anche io ti amo, Romo. La purezza del mio essere trova senso nell’averti atteso.

L’attrazione che i due ragazzi provavano strinse i loro corpi in un abbraccio, di quelli che, guancia a guancia, risolvono nei baci tra collo e viso, ove ogni respiro è un delicato tocco di pelle.

Finché il silenzio fu rotto dal rumore di un ciclomotore che si fermò ai piedi della scalinata. Tolti i caschi, nel buio, sottoluce, riconobbero le sagome di Martina e Gianni.

- Gianni! - Fù sorpreso Romoaldo.

- Sì, siamo noi, vi abbiamo visto da lontano, ci sembravate proprio voi.

- Stiamo andando a casa. - Continuò Romoaldo.

- Vedo, vedo. - Rispose con ironia Gianni.

Avvicinandosi, Gianni raccontò una cosa accaduta poco prima.

- Insomma era lì, il deficiente, al paese piccolo, con quella cretina! A quest’ora.

- Ma sei sicuro Gianni? - Chiese Mara sgranando gli occhi per l’incredulità. – Tuo padre? Con una bionda?

- Gli ho detto cosa cavolo facesse. Prima mi ha chiesto cosa facevo io in giro a quest’ora, poi come stavo, poi se volevamo bere qualcosa. Allora gli ho urlato cosa stracavolo facesse in quel bar … assurdo, mi ha detto che era con una collega dopo il lavoro a bere un caffè prima di andare a casa. - Disse con disgusto - Ma chi pensa di prendere in giro sto vigliacco! Avevo voglia di mettergli le mani addosso, è senza ritegno.

- Ma sei sicuro che erano insieme? - Chiese Romoaldo.

- Un caffè a mezzanotte, ma dove si è mai sentita? - Pensò ad alta voce Gianni.

- E la donna cosa ha detto?

- Prima del nostro arrivo se la ridevano, si toccavano le mani, lei lo ha accarezzato un paio di volte sulla guancia, sta … li ho osservati per un po’ prima di andare da loro, volevo essere sicuro di non fraintendere.

- Non posso crederci, non diresti mai che i tuoi possano fare cose del genere. - Concluse perplessa Mara.

- Se non ci credete chiedete a Martina, ha visto anche lei.

- Meglio non dire niente agli altri, raga. Voi siete gli unici che lo sapete. - Disse Martina.

I due ragazzi accompagnarono Martina e Mara alle rispettive case. Era veramente tardi. Poi col ciclomotore di Gianni andarono verso la casa di Romoaldo. Gianni era stravolto. Si fermò e pianse, mentre l’amico taceva e lo ascoltava.

- Cosa devo fare? Devo dirlo a mia madre? Non so cosa fare.

- Forse lo dirà lui a tua madre.

Cercò il modo di consolarlo. Ripresero ad andare parlando continuamente. Non avevano messo il casco per farlo. Erano troppo presi ad ascoltare il dolore, a comprenderlo, a farvi fronte nel modo che quell’età può suggerire, e non si accorsero di una macchina che, pensando non ci fosse nessuno per strada a quell’ora, tagliò uno stop laterale. Poi silenzio … Lungo la strada soltanto due fari nel buio.

sabato 7 novembre 2015

Dei ragazzi della scuola e dell'amore - nona puntata

Ci avviciniamo alla fine di quest'avventura dei nostri ragazzi

NONA PUNTATA

Cap. 6 Il brivido sulla tua pelle

Venne il tempo dei preparativi natalizi. Ognuno fu preso dalla “febbre” dei regali.

Si progettavano cene, si prenotavano viaggi. Come ogni anno in oratorio si pensò di adornare le stanze e la cappella maggiore. I Confratelli pensarono ad organizzare per le festività dei gazebo in piazza Maggiolini. Le idee fioccavano, ma Guido e Fabrizio parevano particolarmente ispirati e coinvolsero Romoaldo. Don Vittorio nell'omelia domenicale focalizzò l’attenzione sulla necessità di sentire dentro di sé la nascita del Cristo e pose l’accento sui valori che ognuno doveva coltivare nel cuore; il natale “non è solo espressioni esteriori di gioia, sebbene queste siano corrette”, concluse.

I ragazzi a modo loro sentivano le festività: assenza di scuola, mattinate a dormire dopo le ore piccole, e giornate intere all’aperto con gli amici, nonostante il freddo. Romoaldo era impegnato coi preparativi dei Confratelli. Gli amici, invece, scorrazzavano per la cittadina. Ma anche lui, finiti gli impegni all’oratorio, si univa volentieri a loro. In questo periodo gli studi andavano a rilento, ma era comprensibile.

La mattina di S. Stefano Gianni telefonò a Martina. Era presto e lei rispose a fatica.

- Non ho dormito tutta la notte. - Disse con voce turbata.

- Cosa è successo?

- I miei sono usciti, vieni qui, voglio farti leggere una lettera.

- Sto andando da Isabella, la mia amica. Ci possiamo vedere alle undici?

- Non ho dormito tutta la notte, Martina, ho ricevuto una notizia che mi fa stare male.

- Va bene, Gianni, dammi il tempo di arrivare da te.

Martina corse con lo scooter. Tagliò qualche stop, arrivò in un attimo.

- Cosa è successo? - Aveva gli occhi sbarrati.

- Guarda, leggila, prima che arrivino i miei.

- Dove sono andati? - Gli chiese prendendo in mano una lettera.

- A fare spese, o almeno così mi hanno detto.

Lesse attentamente le prime righe, poi disse di botto:

- Ma i tuoi divorziano! Ma perché? Non ne sapevi niente? - Lo riempì di tutte domande che le uscirono a raffica, senza ascoltare la risposta che aveva cominciato a darle Gianni, il quale ripeté, una volta calmata:

- Sì, a quanto pare divorziano. Deve essere la lettera che l’avvocato di mamma ha mandato a mio padre.

- Come l’hai avuta?

- Cercavo il portafogli di mio padre. Quando ho bisogno di soldi lo faccio, poi glielo dico.

- Non ne sapevi niente, vero?

- No. - E ci fu un sordo guardare, un brivido; un accecante dir nulla. Entrarono in camera, riposero la lettera nel cassetto, tra i documenti dove l'aveva trovata il giorno prima Gianni, tra le camice di raso del padre e le cravatte mai usate negli ultimi anni.

- Ma dalla lettera pare che tua madre dia la colpa a tuo padre di aver fatto qualcosa.

- Era nel comodino di mio padre. Lui sa, dunque, l’ha ricevuta. Saprà anche cosa ha fatto, è un grande …

Non finì la frase, un singhiozzo di emozioni gli bloccò la voce. Martina lo abbracciò e gli carezzò il viso teneramente.

- Cosa faccio ora? Dico che lo so? Faccio finta di niente? E dove saranno andati i miei? Non capisco più niente.

- Ascolta … - disse la ragazza - … telefona ai tuoi per avvisarli che vieni a casa mia, mangia da me oggi ... così avremo il tempo di pensarci su.

E così fecero. Non dissero nulla agli altri amici, Gianni non se la sentiva di sopportare la sequela di domande e di suggerimenti che ne sarebbero scaturiti.

Il pomeriggio i due passarono al baretto, fecero in tempo a sentire la discussione già in corso:

- Mi sono rotto, lo studio non fa per me … così come vi ho detto a gennaio mi ritiro, ho già un posto all’agenzia immobiliare di mio zio, quella vicino al comune. - Disse Diego risoluto.

- Ma fai bene. - Ribatté Luigi. - Io non posso, i miei mi ammazzerebbero, ma mi sono stufato. È dura studiare sempre, gli ho proposto di cambiare indirizzo di studi … niente da fare … allora m'impegno giusto il poco per sopravvivere.

- Pare proprio che non ci capiscono. - Anche Riccardo aggiunse lamentele su lamentele.

- Sempre i soliti discorsi su quanto è difficile guadagnarsi da vivere … ma cavolo e i nostri problemi?

- Ma cosa farai Diego? - Chiese Gianni. - Non ho sentito, sono arrivato adesso.

- Agente immobiliare con mio zio Cesare. È uno a posto, ci puoi parlare, capisce i giovani. M'ha detto che m'insegna tutto lui, l’agenzia è sua.

- Ma tu sei matto.- Interruppe Mara. - Ma non puoi fare entrambe le cose? Se ti piace andare a lavorare con tuo zio ci vai nel pomeriggio.

- Sì, e quando mi diverto?

- Ma se lui non fa un bel niente tutto il giorno, te lo vedi ad impegnarsi a scuola e in più al lavoro? Ah ah ah … - Rise di gusto Luigi.

- Ma piantala imbecille!

- Dai un pò è vero. - Rise di gusto Sergio. - Non hai voglia di fare un bel niente.

E la conversazione continuò su questi toni. Gianni comunque ne trasse beneficio perché almeno s'era distratto dal pensiero dei suoi, finché ricevette una telefonata dalla madre che gli chiese di tornare a cena.

Rispose poche parole e con distacco.

In casa non disse niente della lettera. Decise così, forse perché c’era spazio per un chiarimento, per una riappacificazione, e attese gli eventi. Ma una cosa lo turbava fino nel fondo dell’anima. Qualunque fosse la causa, di chiunque fosse la colpa, l’amore per un figlio non era sufficiente a superarla? Non riuscivano a perdonare? Cominciò a detestare i suoi genitori, cambiò atteggiamento con loro, divenne indisponente e tagliente. La cosa che maggiormente lo colpì fu che loro a questi cambiamenti non ci fecero caso; erano troppo presi ad ascoltare il loro dolore e a odiarsi l’un l’altra. Quelli erano giorni bui.

Passò pian piano l’inverno. Tra proponimenti di studi, nuove sfide per il lavoro, e pensieri indifferenti verso i genitori. Cominciarono le severe battute d’arresto nei rendimenti scolastici, cominciarono compiti in classe e, insieme all'ultima neve, fioccavano anche voti mediocri, bassi: per alcuni molto bassi.

Pareva che i prof fossero diventati più severi, o gli argomenti più difficili. Chissà forse la vita al di fuori della scuola distraeva facilmente i giovani di quell’età, e il calo dei voti serviva proprio a rimetterli in carreggiata. Il fatto è che agli studenti provocarono soltanto rabbia e frustrazione.

Diego pareva andare a gonfie vele all’agenzia dello zio. Aveva assunto l’aria di un esperto venditore incravattato, ma aveva molto da imparare su proprietà, diritti reali o personali e sul modo di trattare con i clienti; lo zio dovette avere molta pazienza con lui.

Sergio passava i pomeriggi al baretto o a scorazzare col ciclomotore. Aveva talento per il calcio giocato ma non si era mai impegnato in qualcosa che non fosse obbligatorio: calcio o altri sport. Era un appassionato, però, e compilava schedine su schedine tra totocalcio e superenalotto, a ritmi ossessionanti. Spesso coinvolgeva gli amici convincendoli con elaborati sistemi di sua invenzione.

Luigi era ormai guarito e alla fine dell’inverno aveva ripreso a pieno ritmo le attività. Era un patito di motori, non si perdeva in televisione una prova o una gara di qualsiasi cosa avesse a che fare coi pistoni. Il box di casa sua era enorme e il padre gli aveva dato il permesso di attrezzarvi, in fondo al locale, una piccola officina dove passava molto tempo a fare esperimenti e ad elaborare i ciclomotori per gli amici. Isabella si appassionò anch’ella alle gare, frequentandolo. Spesso si chiudevano in casa per ore a vederle. Non litigavano molto, l’unico motivo era l’altra passione di Luigi, la birra. Lei sospettava che fosse passato anche ai goccetti di superalcolici e fu un'aspra battaglia.

Riccardo era il più scanzonato. Il più allegro. Era decisamente un bel ragazzo. Brillante e col grano sempre in tasca. Non aveva una ragazza fissa. Sentì in un film che amarne una sola equivaleva a odiare le altre, allora usava dire, scherzando, che aveva il cuore tenero. Aveva la parlantina sciolta e la risposta pronta. Viveva la vita come sa viverla un simpatico mascalzone: il fatto è che coi suoi 15 anni sapeva farsi voler bene da coloro che conosceva.

Gianni dimenticò la storia dei genitori, o meglio, li ignorò. Loro non gli dissero mai nulla e per questo li detestò ancora di più; pensava volessero tenerlo fuori dalle cose che ritenevano importanti, così creò una sorta di muro, si dedicò alla sua gioventù, alla ragazza e agli amici. A calcio dava il massimo, il campionato andava bene, erano terzi. Non beveva mai troppo, era severo con se stesso se ad una cosa ci teneva. Era forte fisicamente ma, nonostante la stazza, era assai agile. Giravano voci che qualche grosso club poteva interessarsi a lui, visto che si faceva notare a suon di gol; era il capocannoniere alle interregionali. Con Martina alti e bassi, come per la maggior parte dei ragazzi di quell’età. Lei era innamorata della sua personalità di leader. Lui era meno romantico ma ci teneva a lei, più di ogni altra cosa.

Romoaldo era un sognatore, scriveva continuamente racconti, frasi e poesie. Aveva fatto leggere qualcosa soltanto a Mara, che ne fu entusiasta e propose a Don Vittorio di prendere il giovane come collaboratore alla stesura del prossimo testo teatrale.

Don Vittorio dopo aver letto alcuni suoi brani accettò di buon grado, non prima di averlo indottrinato in merito alla linea culturale della parrocchia. In oratorio Romoaldo strinse un’amicizia profonda con Alberto e Sergio, due confratelli molto gentili e profondi. Con loro passava parecchio tempo a chiacchierare durante le attività. Non mancavano tensioni e sgarbatezze, tra volontari; del resto ci sono in ogni luogo frequentato da molte persone, pensava, e occorreva capire con chi avere a che fare. Gli studi andavano bene, sebbene anche lui ebbe alcune difficoltà a tenere il passo. I mesi tra gennaio e marzo possono essere pesanti per chi studia. Ma, tutto sommato, era un buon periodo per lui, ragazzo timido e sensibile. Mara lo adorava, aveva notato il suo sforzo per entrare nel mondo che lei frequentava, e le amicizie che si era fatto; aveva notato che gli piaceva quel mondo.

E così arrivò primavera.

Aprile ha un suono particolare, di neve disciolta, di luce frangente, di verde smeraldo … ha piccole macchie brillanti del sole che muta e soffi di vento umido che attende nei prati. Ha voci di grilli nascosti, di fiori recisi, di tiepidi corsi d’acqua piovana. Ha palpiti forti di giovani amanti, di piccole storie che muovono il cielo, di nuovi sorrisi e baci cercati … d’aprile si veste l’amore.

sabato 31 ottobre 2015

Dei ragazzi della scuola e dell'amore - ottava puntata

ancora con i ragazzi

OTTAVA PUNTATA

Cap. 5 Martina e Gianni 

Era da poco iniziato dicembre. Una domenica mattina alcuni amici, giunti all’ospedale a trovare Luigi, videro che stava meglio. Si stava riprendendo, anche se parlava ancora a fatica. L’ematoma che aveva interessato la testa stava regredendo. Non lo affaticarono e si risolsero a brevi saluti, ai baci e a strette di mano. Usciti dal reparto, Gianni confessò al nostro amico che con Martina le cose andavano male.

- Sì, è venuta da me qualche giorno fa dicendomi che tu facevi la corte ad una ragazza di prima C. Ho provato a smentire, Gianni, ma non mi ha creduto.

- Praticamente mi ha lasciato, Romo, e non ci sto dentro. La chiamo continuamente ma non risponde, si fa negare. M'ha detto che ha parlato con sua madre e che anche lei le ha consigliato di mollarmi. Ma che cavolo, non può farsi i fatti suoi quella! Tutto il giorno a far niente ma quando c’è da rompere le scatole è la prima. Romo … se hai consigli lo sai che ci tengo al tuo aiuto.

- Sì, ma cosa posso fare, non posso parlare io per te.

- No, devi solo darmi un'idea, uno spunto, qualcosa che la convinca che la amo e la faccia tornare da me.

- E ti sembra facile? cosa posso dirti?

- Romo, dai, aiutami. Lo scriverei a tutto il mondo che la voglio, io che le voglio bene, davvero!

- Lo scriveresti … hai avuto un’ideona! Scriviamolo sulla strada davanti a casa sua a caratteri cubitali, con la vernice, questa notte, io e te; scriviamo che la ami con lettere tanto enormi, così gigantesche, da divenire onde del mare agitato.

- La amo? Proprio così dobbiamo scrivere, Romo?

- La ami! proprio così, se vuoi convincerla devi esporti.

- Ma lo leggeranno tutti. Scriviamo che non so stare senza di lei, e che sta sbagliando tutto…

- E che la ami, hai paura a dirlo? … e che ti manca, se la vuoi rivedere!

E così fecero. Comprarono due rulli una tanica di bianco e si vestirono con abiti adatti. Erano pronti ad affrontare l’ennesima sfida per l'amore, quello eterno, quello inviolabile, quello che baciava il destino in fondo alle loro vite.

- Perché le ragazze queste cose non le fanno? - Si lamentò Romo con l'amico. - Solo noi siamo disposti a gesti ridicoli pur di farci notare.

- Forse perché non vogliono faticare come noi. O forse perché hanno altri argomenti per farsi notare... non lo so, insomma

- E stasera avrei dovuto ripassare letteratura per l’interrogazione di domani. - Disse sconsolato Romoaldo.

- Dai Romo tra amici. Poi quando avrai bisogno ...

E durante quelle elucubrazioni trasportavano a fatica la tanica e tutto l’occorrente, in precario equilibrio sul ciclomotore che ciondolava ubriaco. Dondolando ad ogni metro presero a discutere animatamente della frase da scrivere.

- Ti faccio la foto Gianni. - Disse ridendo.

- Per favore dopo quello che è successo con le campane no, eh!

Dopo un breve tratto in motorino arrivarono al viale Matteotti e si prepararono. Cominciarono dall’inizio con lettere che erano grandi quanto l’intera carreggiata, da un lato all’altro.

- Bisogna fare attenzione a scrivere correttamente, perché con lettere enormi e così lentamente è facile confondersi e sbagliare. - Disse Romoaldo, e poi aggiunse: - Per non scrivere il nome di Martina useremo il vezzeggiativo che le hai dato tu, Gianni.

- Il nomignolo, vuoi dire, tipo cara, pussy, gattina?

- Sì sì, proprio quello.

Quindi cominciò l’impresa. Gianni prese il rullo e tracciò la prima lettera. Per la seconda Romoaldo non fece in tempo a finirla che giunse una macchina.

- Cavolo se continuano a passare ci rovinano il lavoro. Disse con rabbia Romo.

- Sì, dobbiamo tirare i rulli così la vernice asciuga prima, - spiegò Gianni. - Ci metteremo più tempo ma è l’unico modo.

- Azz…

In un modo o nell’altro, e qualche volta interrotti, finirono dopo un’oretta abbondante. Tempo tutto sommato accettabile. Si erano impegnati, e ci avevano preso gusto. Forse troppo: poiché cominciarono a pensare cosa scrivere in altre vie, magari per prendere per i fondelli gli amici.

- Aspetta, prima di andare via rileggiamo il tutto.

- Sì, ammiriamo la nostra opera d’arte!

La scritta era lunga circa 60 metri, spropositatamente enorme: “Non posso stare senza di te, Ciccina. Non spezzarmi il cuore. Siamo nati l’uno per l’altra. Mi manchi, TI AMO, G.”.

Calcolarono il tutto in modo che risultasse la parola “cuore” proprio davanti a casa di Martina. Poi Gianni, preso un pennello, le volle disegnare un cuore sul muro di cinta. Ci pensò ancora e scrisse un grosso “TI AMO” sulla via di fronte alla sua villa.

Poi lasciò un cuore su ogni albero lì vicino. Insomma l’amico dovette fermarlo allorché stava iniziando, con le suole imbevute nella vernice, a tracciare le orme dei passi davanti a casa di Martina con l’intenzione di arrivare fino alla propria casa.

Faceva freddo ormai, quel freddo che ti entra nelle ossa, ed era tardi. Ma la missione era compiuta, comunque. Nessuno li aveva visti e agli altri non lo avevano detto: e tutto era andato liscio. Gianni mandò un SMS a Martina dicendole che la mattina seguente avrebbe avuto una piacevole sorpresa guardando la strada di casa sua.

Nulla da dire su quell'idea: tali cose colpiscono le ragazze. Colpisce l’impegno, la fantasia, la forza d’animo. La volontà dei ragazzi di metterle al centro delle loro attenzioni. Le parole erano forse un pò scontate, ma di sicuro effetto.

E lei alla sola vista della loro opera d'arte impazzì per Gianni, cotanto amore le aveva toccato il cuore.

Lo chiamò prima di andare a scuola. Lo accolse a braccia aperte all’entrata, e nell’intervallo corse nel corridoio per vederlo e stare con lui. Insomma era cotta a puntino. Ne parlarono le sue amiche per giorni. Ne fu fatta una sorta di reportage fotografico da molti ragazzi della scuola. Gianni era un bel ragazzo e per di più brillante: erano la coppia più invidiata a scuola in quel momento.

Passò qualche giorno e dicembre s'accorciò. C'era un freddo pazzesco e gli amici si chiudevano per qualche ora nel bar della piazzetta fino a che ognuno andava per la propria strada.

Romoaldo aveva iniziato a frequentare assiduamente l’oratorio. Don Vittorio lo teneva d’occhio, e quando non c’era lui lo faceva controllare praticamente a vista da alcuni giovani di cui si fidava. Era pur sempre uno degli autori della scampanata. Pian piano i suoi convincimenti ebbero la conferma: era un tipo un po' nelle nuvole ma aveva un animo nobile e sensibile. E infine quel ragazzino gli piacque, così lo invitò a dare una mano al teatro della parrocchia in maniera assidua, cominciando con montaggio e smontaggio. Don Vittorio aveva chiesto ad alcuni dei Confratelli, genitori che sbrigavano volentieri le questioni pratiche delle attività parrocchiali, di prendere sotto le loro ali protettive il fanciullo, e di farlo lavorare.

Così Paolo, Claudio, Emanuele, Giovanni, Tonino e altri divennero pian piano suoi amici. Avevano in media 30-35 anni più di lui, ma divennero affiatati compagni di lavoro nei preparativi delle attrezzature del palco per gli spettacoli.

Un bel giorno, per la precisione un sabato pomeriggio di metà dicembre, al baretto si presentò anche Luigi. Ci fu festa ed emozione tra gli amici. Era finalmente uscito dall’ospedale. Tutti si strinsero intorno a lui.

Dapprima gli chiesero le condizioni di salute, poi quando sarebbe tornato sui banchi di scuola. Quindi fu il turno di far vedere le cicatrici dell’incidente e di spiegare una per una come se le fosse procurate. Insomma erano davvero entusiasti di riabbracciare l’amico ritornato.

- Offro un giro di birra per Luigi. - Disse Gianni.

- E Isabella? L’hai più rivista, Luigi? - Chiese Mara.

- Sì, sì. Mi è venuta a trovare spesso, è stata carinissima. Dovrebbe venire qui anche lei.

- No, io no la birra, una coca cola. - Disse Riccardo, che tutto sommato aveva salutato Luigi ma se ne stava un po' in disparte: Luigi lo aveva notato.

- Non bevi una birretta con me come ai vecchi tempi, Ricky?

- Cosa? No, io no.

- Dai ci tengo. Come ai vecchi tempi Ricky. - E gli diede una pacca sulla spalla.

A questa manifestazione di amicizia ci fu silenzio. Era importante, cementava il gruppo e nessuno voleva perdersela. I due si guardarono un attimo negli occhi. Poi Riccardo confessò:

- È stata colpa mia Luigi, e tu ancora mi parli?

- Colpa di cosa?

- Non te lo ricordi? La statale, io che ti incitavo a correre?

- E allora? Colpa tua perché?

- Per colpa mia sei caduto e quasi ti ammazzavi!

- Ma cosa dici. E poi non ricordo granché. Io so che tu mi hai aiutato, no?

- Non ricordi che avevamo bevuto tutto il pomeriggio? Io avevo bevuto di meno però; tu t'eri sbronzato subito e io facevo finta di bere ancora. Eri piegato!

- E allora? Quante volte l’ho fatto io, o un altro, non si era obbligati a bere.

. Ma mi ero reso conto che guidare per te era pericoloso, sbandavi, ti alzavi in piedi, chiudevi gli occhi e ridevi come un matto, ma io non ho fatto nulla per fermarti, volevo solo divertirmi, ero euforico.

Riccardo guardò fisso nel vuoto e cominciarono a lacrimargli gli occhi. Nessuno parlava. Luigi mise il bicchiere sul tavolo. Prese il telefonino dalla tasca e cominciò a toccare i tasti quasi come per distrarsi, ma stava pensando alle parole udite.

- Scusami Luigi. Sono un bastardo, ma non volevo che ti succedesse questo.

Poi Riccardo si alzò e andò verso l’uscita, fermandosi alla porta. Non guardò indietro, si mise il cappello, prese il casco e le chiavi del motorino e uscì.

Gli amici rimasero senza parole, impietriti. Luigi l'aveva visto uscire, senza seguirlo con lo sguardo. Poi mise il telefono sul tavolo, si alzò un pò a fatica e guardando Riccardo gridò:

- Ricky! … Ricky … aspetta. E andò verso di lui.

- Dimmi.

- Tu non volevi farmi del male, secondo me eri storto di birra anche tu, almeno un pò. Sei il mio migliore amico e ora bevi con me altrimenti mi offendo.

Sorrise Riccardo.

- Ma come, io mi sono comportato da idiota e tu sei ancora mio amico?

- Sono fatto così. - Disse scherzando.

- Sei fatto male, Luigi, ma sei un grande. Sei un amico.

- Allora, bevi?

- Sì, ma non la birra, credimi non ho più il coraggio di bere dopo averti visto per terra privo di sensi. Ho avuto ... paura che fossi morto. Sono morto anche io con te su quella strada.

- C’era un angelo con me, Ricky, un pò bevuto, ma c’era … mi hanno raccontato tutto, sai.

Intanto i ragazzi uscirono pian piano per raggiungere i due amici e tirarono un sospiro di sollievo vedendoli insieme. Era un freddo pomeriggio quello alle porte dell’inverno. Scendeva un vento gelido, al sapore di neve, portava le montagne, e l’aria, quasi divertita, correva giù fino a noi, in pianura, veloce foriera di fiocchi imbiancati.

sabato 24 ottobre 2015

Dei ragazzi della scuola e dell'amore - settima puntata

seguiamo ancora i nostri ragazzi


SETTIMA PUNTATA

Venne l’ora prima della cena. Il padre di Romoaldo tornò a casa dopo il lavoro, salutò tutti e il nostro amico lo salutò con educazione, dopodiché si chiuse in un mutismo colpevole, di quei silenzi che soffocano l’anima. Andò nel suo letto e fece finta di studiare, mentre dentro moriva di vergogna. La madre lo chiamò per cena e, quando vide che si era addormentato, lo svegliò dolcemente, come solo una madre sa fare.

La cena passò velocemente e Romoaldo fece per andare a dormire di nuovo quando il padre lo chiamò. Era quasi l’ora che andasse in parrocchia. Romoaldo capì che voleva parlargli di questo e lo affrontò con la speranza che qualcosa si chiarisse.

Il padre si chiuse in camera con lui. Lo guardò per qualche istante. Poi tese la mano verso di lui.

- L’hai fatta grossa Aldo - così abbreviava il nome del figlio - ci hai deluso e noi ci siamo arrabbiati molto con te. E’ giusto che tu sia punito.

In quel momento entrò la madre. Non disse niente, ascoltò il marito.

- Ma io non devo desiderare di picchiare mio figlio, non devo arrivare a quel punto … ieri per qualche istante avrei voluto … ho sbagliato … errore mio, non deve capitarmi più … ma tu limitati Aldo, non so come dirtelo, non portarmi a desiderare cose del genere, che non mi fanno onore.

Quindi lo abbracciò forte. Gli carezzò la testa e i capelli. Romoaldo cominciò a singhiozzare tenendosi stretto a suo padre. Scoppiò in un pianto così profondo e liberatorio che il padre non fece nulla, ascoltò le parole che gli schiusero il cuore, e che chiedevano scusa. La madre disse soltanto:

- Stiamo lavorando sodo per voi figli. Sappiamo che non ci deluderete. Vediamo che ti impegni. Per cui ascolta tuo padre, ascoltaci, e ti andrà bene nella vita, figlio mio.

Finì così. Romoaldo questa volta capì cosa i genitori provavano per lui. Ne ebbe la conferma. Ora era rinfrancato e si propose di non seguire mai più gli amici in faccende contorte.

In canonica il Prevosto tardò ad arrivare e i genitori dei ragazzi cominciarono a spazientirsi. Con loro c’era solo il sacrestano che era rimasto per accoglierli e non li degnò di uno sguardo. Continuò a sbrigare le sue faccende, quasi come se non ci fossero.

Cominciarono a guardarsi intorno. Nessuno di loro si conosceva se non di vista. Ognuno pensava, sperava, che il proprio figlio fosse stato trascinato nella bravata dagli altri amici, anzi ne erano convinti. Non si rivolsero la parola l’un l’altro come per mantenere le distanze dalle famiglie di chi coinvolgeva il proprio figlio in guai seri.

Arrivò il Prevosto. Disse poche parole, con calma, come si addice ad un prelato:

- Signori buona sera. Scusate il ritardo.

E continuò dicendo cosa era successo in occasione della scampanata. La prima domanda che fece uno dei genitori fu quella che mandò su tutte le furie il sacerdote:

- Come fa a dire che è stato mio figlio a fare queste cose?

Maledizione, pensò in un attimo il prelato, non si preoccupano dei ragazzi, di come crescono, del loro futuro, ma della loro reputazione di genitori. Ma il prete si controllò in un momento e la rabbia scemò. Da un lato era comprensibile che chiedessero questo, forse volevano accertare la verità e, d’altro canto, anche accertare i fatti era forse una sorta di cura per i propri figli.

- C’è un filmato - rispose Don Vittorio seccato - che qualcuno ha caricato in internet, signori … se pensate che non siano stati i vostri figli lo consegnerò ai carabinieri con contestuale denuncia contro ignoti, così sapranno dirci loro chi sono i responsabili. Che ne dite?

La risposta venne d’istinto dagli adulti.

- No, ci scusi, siamo tesi anche noi, Don. Ha fatto bene a chiamarci qui e a metterci al corrente. Anche se, penso, i nostri ragazzi, tutti spero, ci hanno già detto quanto è successo e sono stati messi in punizione ... comunque … ci suggerisca qualche cosa lei, ci dia qualche consiglio per i nostri ragazzi.

Queste parole addolcirono gli animi. Il prete precisò che era sua convinzione che i loro figli non fossero cattivi ragazzi, ma che c’era il serio pericolo che lo diventassero. Avevano la “pazzia dei giovani”, secondo lui, e loro dovevano aiutarli; magari con una punizione severa affinché comprendessero quali fossero i loro limiti, ma non con rabbia, spiegò, mai con rabbia. E così fu. Ad ognuno la propria punizione, con la benedizione del prete.

Don Vittorio era persona schietta e decisa. Il più delle volte, se riteneva che fosse il caso, dopo una parentesi diplomatica, diceva diritto in faccia quello che pensava. Qualcuno forse lo detestava per il suo modo di essere, ma, per i suoi ragazzi, per tutti i bambini, si sarebbe fatto in quattro. Rivelava per essi una sensibilità straordinaria.

Passarono parecchi giorni prima che gli amici potessero riunirsi di nuovo nella piazzetta.

Arrivò novembre e qualche pioggia. Era da un pò che Gianni insisteva per avere qualche spunto poetico da Romoaldo per una nuova ragazza.

- Ma non ti vedi più con Martina?

- Sì, non ti preoccupare, voglio farla solo ingelosire.

- Mo' ci credo Gianni, secondo te?

Romoaldo tirò a lungo fino a che Gianni se la prese a male. Fu costretto praticamente a scrivere al momento, e lo detestava quando faceva così.

Martina passava molte ore in palestra a fare esercizi di ritmica e alcuni sabati era impegnata nelle gare competitive, dove non raramente vinceva. Era molto dotata e si impegnava tenacemente. Era tra le prime ed arrivare in palestra e non trascurava di perfezionare ogni movimento, ogni esercizio. Era la leader del gruppo, quasi un modello di femminilità e gusto. Non era particolarmente vanitosa, forse perché non ne aveva bisogno, anzi spesso si immedesimava nelle amiche e se poteva le aiutava quando avevano un problema. Le aiutava, ma come farebbe una ragazza che è conscia delle proprie potenzialità e che potrebbe stare sul piedistallo ogni quando vorrebbe; in qualsiasi momento.

Un sabato pomeriggio Martina suonò il campanello della casa di Romoaldo. Rispose proprio lui e rimase sorpreso.

- Scendi per favore Romo!?

Ci mise un secondo. Nel frattempo pensò fosse successo qualcosa agli amici. Il tono di Martina era preoccupante. Ma no, - pensò, - se no mi avrebbero chiamato al telefonino.

- Ciao Martina, dimmi, è successo qualcosa?

- Ciao, ho bisogno del tuo aiuto … con Gianni … devi darmi una mano.

- Che è successo a Gianni?

- Io ho bisogno di aiuto, Romo … non lui.

Non aveva capito al volo, la guardò come si guarda un film muto, cercando di scoprire dalle espressioni quello che ancora non si era compreso dalle parole.

- Dimmi … sono tuo amico … sono tutto orecchi.

- Ecco, sei mio amico … ma Gianni è un deficiente! Ti ha chiesto di aiutarlo negli ultimi giorni, vero? - Romoaldo sgranò gli occhi mentre lei finiva di parlare. - Tipo che ha adocchiato una ragazza e voleva la tua complicità per conoscerla? Vero?

- No ... cioè, mi detto che voleva farti ingelosire e mi ha confidato che ...

Romoaldo ci era cascato! Le ragazze ci sanno fare con le parole, soprattutto quando usano un particolare tono della voce, a cui in genere i ragazzi sono sensibili, e che la natura ha dotato di raffinata dolcezza. I ragazzi, il più delle volte, non sanno reagire a tale fascino.

- Lo sapevo, lo sapevo … è un bastardo, lo ammazzo, anzi la ammazzo, anzi ammazzo tutti e due. Devi aiutarmi, lo dobbiamo seguire, devo scoprire se è vero. Dammi una mano. Gliele voglio dire in faccia a quel disgraziato che non è altro.

Romo già si vedeva la faccia di Gianni infuriata, la reazione verso Martina, e soprattutto verso di lui. L’istinto di sopravvivenza prevalse e pensò alle parole da dire.

- Ascolta, io ti voglio aiutare, ma se per caso ci scopre Gianni, a te lo rinfaccerà per sempre, a me invece la faccia la spacca. Lasciamo stare, affrontalo e diglielo. Se hai dei dubbi è la cosa migliore.

- No, voglio esserne sicura prima, poi lo mollo quel defi. Per sempre! E poi le mie amiche me lo hanno già detto che gira intorno a una di prima C.

- Allora se lo sai, vai e diglielo.

- Lo voglio beccare sul fatto. Non voglio che ci siano dubbi se devo mollarlo.

- E se ti scopre lui e si accorge che lo pedinavi, prima che tu lo sorprendi? Che figura ci fai?

- Romo non difendere il tuo amico … lo so che ci tieni. Ma se tieni anche a me come tieni a lui, aiutami.

- Non lo difendo, se lo ha fatto è un pistola! Ma io cosa ci posso fare?

Martina si calmò.

- Lo so che all’inizio sei stato tu a ispirargli alcune delle cose che mi hanno fatto innamorare, Romo. Me lo ha confessato lui, serenamente. Mi ha detto che tu sapevi trovare le parole che lui sentiva dentro, anche perché lui non è tipo di parole, ecco tutto. Per cui so bene chi è Gianni. Ma io voglio essere sicura del suo amore, voglio sapere se è vero che sente quelle cose per me. Come hai aiutato lui ora aiuta me, Romo!

Romo si rifiutò. Forse non solo per paura; aveva rispetto di Gianni.

La determinazione di non partecipare ad un gesto basso, dettato solo dalla rabbia, lo persuase a dire di no. Capiva lo stato d’animo di Martina, ma rifiutò fino a che lei se ne andò senza salutarlo, voltando le spalle seccamente. Fu umiliante.

Più tardi Romo andò in piazzetta. C’erano tutti. Mancava soltanto Sergio che dalla litigata per la scampanata non era più venuto. Anche in classe teneva le distanze con loro. Romoaldo era giù di tono, molto giù. Non si confidò con gli amici, erano su di giri per qualche birra e avrebbero buttato tutto sul ridere.

- Dai fatti una birretta - disse per risollevarlo Riccardo - Io e Luigi siamo alla terza … mi pare … tu vienici dietro.

Erano partiti. L’alcool cominciava a portarli via con sé, tra fumi ovattati senza colore. Romoaldo ordinò una birra, ma si limitò a quella. Aveva tutte le intenzioni di mantenere la parola data ai genitori. Gianni giocherellava col telefonino quando gli arrivò uno squillo e si allontanò di fretta, ma gli altri fecero in tempo a sentire la voce di una ragazza. Finita la breve conversazione prese lo scooter e se ne andò senza salutare. Poco dopo cominciò a piovere e i ragazzi lasciarono la piazzetta. Riccardo e Luigi non erano in grado di guidare i ciclomotori, ma nessuno degli amici disse nulla. Passò qualche ora quando a Romoaldo arrivò una telefonata da Gianni. Non aveva il solito tono, quasi piangeva: Luigi aveva avuto un incidente col motorino, era all’ospedale di Legnano; era grave. Tutti gli amici stavano andando lì e non sapevano in che condizioni fosse.

Romoaldo si fece portare dal padre al pronto soccorso. Trovò silenzio, una sala d’attesa senza sospiri. Alcuni sembravano guardare persi nell’aria, tra pensieri che nessuno osava narrare. Mara andò verso di lui, lo accolse con un tiepido sorriso e il volto pieno di lacrime che cercò di asciugare prima di dargli un bacio. Pian piano gli amici lo misero al corrente dei fatti. Luigi aveva perso il controllo del veicolo durante una corsa forsennata lungo la statale del Sempione, ed era caduto improvvisamente andando a finire nella carreggiata opposta. Un veicolo che sopraggiungeva era andato fuori strada per evitarlo e il conducente era anch’egli ricoverato. Fu la prima volta che quei ragazzi videro il dolore in faccia, reale, freddo e meschino, toccare uno della loro età. La madre di Luigi era pallida per il pianto che le smorzava la gola; ancora si vedeva la sofferenza nei suoi occhi quando, senza pensare ad altro, guardava con un rapido movimento degli occhi i ragazzi accorsi. Pareva respirare a fatica tenendosi stretta al marito. Luigi era ancora sotto i ferri e i medici non dicevano nulla. Ad ogni camice verde che passava tutti facevano drappello per sapere qualcosa, ma la risposta era ormai un rituale invito alla pazienza e alla speranza.

Passò qualche minuto e arrivarono gli agenti della polizia locale per sincerarsi delle condizioni del ragazzo e per parlare con i genitori. Ovunque era dolore, ogni attimo, ogni respiro, ogni sguardo.

Riccardo era con Luigi quando ebbe l’incidente. D’istinto aveva messo il suo scooter di traverso sulla carreggiata per riparare l’amico, con le luci accese, in modo che i conducenti degli altri veicoli non lo investissero. I poliziotti ascoltarono anche lui. Era molto spaventato, ma aveva mantenuto il sangue freddo in quella drammatica circostanza.

Finirono il lavoro in fretta, fu come una semplice pratica che passa sopra una scrivania. Uno dei due poliziotti neanche era sceso dal veicolo, dava ordini al collega che scriveva il rapporto e telefonava continuamente, ridendo di chissà quale cosa.

Il tempo passava e pian piano gli amici tornarono a casa, tranne Riccardo; volle stare con l’amico. Luigi uscì dalla sala operatoria intorno alle 22. Non era in pericolo di vita ma c’erano state complicazioni. I medici controllarono ogni ora le sue condizioni, per tutta la notte, tranquillizzando la madre.

Il mattino seguente, alle 10 della domenica, più o meno tutti gli amici giunsero all’ospedale. C’era anche Sergio. Romoaldo lo aveva avvisato, e non era stato l’unico. Luigi dormiva ancora. Era sfinito ed era sotto l’effetto dei sedativi. Il viso era tumefatto e respirava a fatica. Aveva grossi lividi e estese abrasioni sul corpo, almeno per quello che si poteva vedere. La madre non gli lasciava la mano un solo istante, seduta di fianco, con la notte addosso e il pianto che ormai non aveva più la forza di uscire. Continuava a carezzarlo e a parlargli sottovoce, come se non volesse svegliarlo. Il padre stette tutto il tempo senza parole, era il loro unico figlio. I ragazzi si tenevano a distanza, quasi per rispetto. Parlavano sottovoce. La madre fece loro un cenno di saluto e tornò a guardare il figlio. Non si era mai allontanata da lui, ma quando vide arrivare Riccardo, che era venuto poco dopo gli altri, si alzò. Lasciò il figlio e lo abbracciò forte. Tra le lacrime, che le tornarono prepotenti, ringraziò l’amico di suo figlio, era convinta che gli avesse salvato la vita facendogli scudo nel buio della strada. Gli amici allora si strinsero intorno a Luigi e ai suoi genitori. Ci furono lacrime su tutti i volti, incoraggiamenti e sorrisi: il dolore pareva passato per un istante, o almeno nascosto nel fondo dell’io, come se fosse tornato nel buio che sta dietro ogni cuore.

Per tutta la settimana a scuola l’argomento degli amici fu Luigi, le visite all’ospedale e, perché no, anche il lavoro sui libri. La frase che risuonava maggiormente tra le classi era il dubbio che nella vita non servissero tutte quelle nozioni astratte sulla storia, le lingue morte e le opere passate, che richiedevano disumani sforzi per apprenderle.

I ragazzi vedevano assottigliarsi le ore di luce e, in prospettiva, avvicinarsi l’inverno. Tra gli amici c’era Sergio, che ormai era tornato a frequentare il gruppo. Non ci furono grandi chiarimenti tra lui e Gianni. Cominciarono semplicemente a parlare delle cose di ogni giorno, e si accettarono come sanno fare due amici; sapendo che, in tutta onestà, la colpa non era tutta dell’altro. Di giorno in giorno giungevano notizie che Luigi stava migliorando pian piano e si diffuse un certo ottimismo. 


Arrivò sabato sera. Romoaldo assisteva in oratorio a una rappresentazione teatrale dei giovani parrocchiani. Tra loro c’era Mara. Impersonava la ragazza di Cirifischio in “State buoni se potete” e lui ne andava fiero. Lei indossava con leggerezza gli abiti cuciti da mani non troppo esperte, ma di fine tessuto, quasi fosse un lembo di cielo adagiato sulla soffice pelle olivastra. Osservava ogni movimento, pesava ogni parola, ogni cadenza proferita dalla ragazza che amava. Lei assunse movenze che pareva sgorgassero dalle pagine di Proust. La stessa raffinata atmosfera di profondo senso estetico. Da sola riempiva il palcoscenico, recitava con la voce, con lo sguardo e coi gesti. Riusciva a rendere la purezza del personaggio sebbene si trattasse di una reietta della società d’allora. Non era solo un’attrice: era davvero a Roma nel ‘500.

Romoaldo rimase incantato dalla capacità di organizzare uno spettacolo quasi dal nulla. Dalla sola volontà di portare il messaggio del genuino cristianesimo, quello che tutti sanno che potrebbe esistere anche nel proprio cuore. Il suo animo poetico ne fu colpito. Decise di ascoltare Mara e di cominciare a frequentare l’oratorio della cittadina.

Finita la recita attese con impazienza che lei uscisse dai camerini. Anche se alcune locuzioni che sentì dagli addetti ai lavori frantumarono il magico mondo creato sul palco, rimase nei suoi occhi l’immagine di quanto di bello può essere fatto dall’uomo. E così, vedutala, l'abbracciò tra un delicato sospiro ed un tenero bacio sul viso. La casa di Mara non era lontana e, invece di farsi accompagnare dai genitori che l'avevano attesa, preferì passeggiare con lui. Ci fu un lungo silenzio tra i due. Sentivano soltanto il tocco della mano, palmo a palmo, e l’aria quasi fredda che incontravano di quando in quando sul viso. Il silenzio accompagnava i loro pensieri e le poche parole fino ad allora dette.

- Tu credi in Dio? Intendo dire veramente. - Chiese Mara.

- Io sento che qualcosa esiste, qualcuno sopra all’uomo …

- Sei felice? - Chiese ancora interrompendolo.

- Qualche volta. - Rispose.

- Come qualche volta? O sei felice o non lo sei.

- Io penso che la felicità ognuno debba costruirla da sé. Ognuno di noi suppongo abbia la capacità di essere felice; se qualche volta non lo sei, dipende da te, dalle tue scelte. Oppure dalla ostilità degli altri … se non sei felice, io penso, devi fare qualcosa per esserlo, se solo ti è possibile.

- Ma è troppo semplice così. È riduttivo.

- Sarà pure semplice come dici, ma se vuoi essere felice devi fare tu qualcosa. A volte il fare è accontentarsi. Altre volte devi darti da fare davvero. Leonardo sosteneva che il Creatore ha dato ogni bene all’uomo al prezzo dello sforzo. Se credo in Dio? Sì, credo in Dio, per il solo fatto che abbiamo la possibilità di essere felici. Quindi sì, ci deve essere Dio.

Lei si fermò e lo abbracciò. Si tenne stretta a lui fino a che cominciò a sentire il calore del suo corpo.

- Sto bene così. - Gli disse.

- Non hai freddo ora.

- Sto bene con te, Romo.

- Romoaldo, dillo tutto il mio nome, tu lo rendi bello.

- No, è più bello Romo.

- Ma tu dillo comunque. Tu rendi piacevole ogni cosa. Il suono della tua voce tramuta ogni sillaba in un canto.

- Tu mi vedi così - lo interruppe - Mi vuoi bene e allora mi idealizzi.

- Non so se sia vero quello che dici. Ma se il cuor mio sente la dolcezza quando le tue labbra proferiscono parola, allora m'inganna, ove non fosse vero. Oh ingannami ancora cuore mio villano, come la luna inganna gli occhi miei vestendoti ora, davanti a me, della seta che colora il cielo, e la luce sua senza calore scaldi il mio pensiero come solo l’amore sa scaldare. Qual poca cosa sono se solo l’inganno sa parlarmi di te, amore mio.

- Sono io il tuo amore allora? - Chiese lei baciandolo con leggero tocco di labbra sulle sue.

- Dimmelo tu, se il mio cuore m'inganna allora parli il tuo che sa trovare le parole e suggerirle al mio.

- Allora l’amore tuo è un inganno, un artificio del tuo cuore? - chiese scherzando.

La carezzò in viso. Sospirò appena e disse:

- Oh, non essere severa col mio cuore. Se egli sbaglia quando ti vedo, la colpa è mia che gli occhi non chiudo al tuo splendore, e lui, attonito, non sa qual sia realtà o incanto.

Sorrise, sicuramente compiaciuta, stordita dalle parole che parevano dettate dall'istinto, nell’attimo esatto in cui venivano proferite. Mara aveva capelli castani e occhi di identico colore. La pelle aveva un lieve colorito bruno, il naso e la bocca, gentili. Era nel complesso di bell’aspetto ed era dotata di una particolare grazia nei gesti e nella parola.

Quella notte a lei parve ferma, immobile, in attesa del palpito d’ali su cui ogni pensiero di soffice suono all’anima parla.

- Hai freddo? - Ruppe il silenzio Romoaldo.

- Sì, ancora.

Mentre si abbracciavano si accese la luce di una finestra della casa di Mara. Insomma era ora di rientrare. I due si diedero ancora un bacio, un ultimo bacio gentile, che divenne pian piano, tra loro, una dolce passione, che sa rendere tenera e piena una fredda sera d’autunno.

- Ciao Leonetta, allora. - Sorrise.

- Ciao … Romoaldo. - E gli strinse un’ultima volta la mano per salutarlo e andò a casa.

sabato 17 ottobre 2015

Dei ragazzi della scuola e dell'amore - sesta puntata

ancora in compagnia dei ragazzi

SESTA PUNTATA

                           Cap. 4 La resa dei conti

La mattina successiva tutti in classe. I prof già da qualche giorno li avevano messi a lavorare e loro, malvolentieri, cercavano di stare al passo con gli studi. Tra tutti, Romoaldo era quello più disposto a “sudare” sui libri, ne provava una sorta di piacere; per lui ogni concetto nuovo, ogni approfondimento, era una scoperta, un’avventura, quasi una conquista.

All’intervallo Mara chiese a Romoaldo se quella domenica era disposto ad andare con lei e le amiche dell’oratorio e in chiesa.

- Va bene, ci verrò. - Lo disse, ma malvolentieri. Non era abituato, non la sentiva una cosa sua. E l’espressione del viso lo tradì.

- Dai provaci Romo, ci tengo. Poi vedrai che ti piacerà davvero. - Disse cambiando tono. Il sorriso e l’interesse che aveva per lui lo indussero a ripensarci.

- Ma sai io la domenica mattina studio un po', poi esco con gli amici a fare un giro, verso mezzogiorno.

I genitori di Romo non frequentavano la chiesa, erano troppo indaffarati a sbarcare il lunario. La madre andava a fare le pulizie un paio d’ore in un ufficio la domenica mattina. Il padre si godeva l’unica vera giornata di riposo e, per aiutare in casa, preparava il pranzo. In effetti entrambi dicevano ai figli di andare in chiesa, lo ripetevano parecchie volte, ma mai nessuno lo fece, finché si stancarono di ripeterlo. Insomma Romoaldo non era proprio dell’idea.

- A che ora ci vediamo Mara?

- Alle 9,45 in piazza. La funzione inizia alle 10, ma si va un momento prima per sistemare un pò. Ok?

Suonò la campanella e i ragazzi andarono nelle proprie aule. Il pomeriggio di sabato alcuni si trovarono in piazzetta. Non avevano i ciclomotori e non potevano muoversi troppo. Cominciavano ad annoiarsi. Non si sa come spuntò fuori un pallone. Qualche passaggio, dei tiri e si finì a giocare una partitella. Le ragazze non c’erano. Martina era a ritmica, ad una delle sue gare in trasferta. Mara era all’oratorio e le altre chissà dove. Terminata la partita Diego si avvicinò a Romo.

- Sai quelle poesie che scrivi per le ragazze? - Disse asciugandosi il sudore della fronte con la maglietta, - quelle d’amore che mi hai dato a scuola?

- Sì, più che dato io le hai volute tu, e poi Giovanna ti ha beccato che nemmeno le sapevi. - Rispose Romoaldo.

- Ho conosciuto una ragazza l’altro giorno, mi piace, e stasera devo andare da lei, a casa sua, per un ripasso di storia … insomma se hai una poesia magari gliela regalo, sai com’è.

- Magari … ma tutti da me venite? Ne trovi quante ne vuoi sui libri di letteratura.

- Lo so, ma le tue sono originali, mi serve, dai.

- La verità e che non avete voglia neanche di cercarvele … si … passa da me prima di andare da lei, te ne do una, già su pergamena, così farai anche bella figura … ma almeno leggila stavolta.

- Sei un’amico Romo, chiedimi qualunque cosa.

Smisero di giocare sudati e contenti e andarono al baretto.

- Chi si fa una birretta, raga?

Romoaldo un pò sconsolato confidò agli amici che l’indomani mattina sarebbe dovuto andare in chiesa con Mara.

- Ci tiene, ma proprio non mi va, non conosco nessuno, che ci vado a fare in chiesa?

- Anche io devo andarci, se no i miei mi fanno una menata. - Disse Diego. - Troviamoci lì alle 10 così poi ci facciamo l’aperitivo senza che ci vedono i matusa.

I genitori di Diego lo spingevano a frequentare la chiesa, e il più delle volte gli toccava andare alle funzioni domenicali. Questo diede slancio a Romoaldo, anche perché ci teneva a non deludere Mara.

Così venne la domenica mattina. Mara si aspettava di vedere Romo intorno alle 9,45; aspettò con pazienza poi, alquanto seccata, perché non lo vide, entrò, salutò gli amici, andò in canonica e, salutati anche il prete e il sacrestano, si diede da fare con le panche e i foglietti della messa, che erano da sistemare dopo la funzione delle 8,30. Faceva tutto non trascurando di guardare in giro ogni tanto, per vedere se Romoaldo fosse arrivato. Ma la funzione iniziò.

In realtà il ragazzo era arrivato pochi istanti prima che iniziasse la messa, ma Diego aveva insistito per rimanere in fondo, tra le ultime file. L'amico non taceva un momento, commentava tutto ridacchiando sottovoce, faceva ogni cosa tranne che stare attento a ciò che accadeva in chiesa. Tacque soltanto quando il prete, nell’omelia, commentò i fatti, successi ad inizio settimana, relativi alla scampanata a suon di musica. Fu un'esternazione molto amara, quasi pesante, sul rispetto del luogo sacro, del sentimento religioso di chi lo frequenta e sulla educazione alla vita che i rispettivi genitori non erano riusciti a far comprendere ai figli; sul valore del convivere civile.

- Spero - disse il prevosto alla fine - che questi ragazzi ricevano le dure conseguenze del loro agire, pari alla loro insensibilità e alla loro inciviltà.

Vi fu silenzio in chiesa. I due ragazzi rimasero immobili. Qualcuno forse li aveva riconosciuti poiché si sentivano osservati, molto osservati. Dopo qualche minuto passò la signora col cesto delle offerte. Sarà stata soltanto una sensazione ma pareva proprio che li fissasse, con occhi che sembrarono penetranti. Tacquero per il resto della messa e non si mossero dalla panca neanche alla fine, facendo finta di leggere i foglietti, nella speranza di evitare i presenti e di filarsela a chiesa svuotata.

- Ah, eccoli qui.

- Mara.

- Sì, potevo così aspettarti.

- Ci sono! E stavo leggendo il foglietto.

- Ho visto, ma avresti potuto cercarmi o farmi un cenno, avrei evitato di guardare per tutto il tempo in giro.

Silenzio.

- Dai che ti presento al Prevosto.

Ancora più silenzio.

-Ah, sta arrivando il sacrestano, comincio a farti conoscere lui.

Profondo silenzio, glaciale.

Era come se in chiesa fosse apparso un cherubino e avesse congelato i due ragazzi, seduta stante, sulla panca. Non sapevano come uscirne, il sacrestano aveva visto benissimo Diego insieme a Gianni quel giorno, mentre gli chiedevano spiegazioni per dare il tempo a Riccardo di cambiare il CD.

La fortuna volle che il sacrestano fu “placcato” da una signora che lo trattenne parecchio tempo, così, nell’attesa che si liberasse, il prete andò via e Diego trovò la scusa che doveva scappare dai suoi che lo aspettavano per andare dai nonni, e se ne andarono.

Il mattino successivo, all’entrata della scuola, Romoaldo scoprì che tra i ragazzi girava il video della scampanata e visti gli altri cercò di avvertirli.

- Avete sentito, raga? Siamo su internet, siamo famosi ... ah ah ah. - Stava già dicendo Gianni agli amici.

- Mitico … siamo grandi, tutti si ricorderanno di noi!

Suonò la campanella d’entrata e la discussione sfumò tra i flussi degli alunni.

In classe c’era già la prof d'italiano. Romoaldo era ammutolito per quella notizia, non ne era contento, aveva paura che la voce giungesse ai suoi. Che li addolorasse, soprattutto la madre. Non commentò euforico come gli altri, e ne aveva tutte le ragioni.

Nel tardo pomeriggio arrivò una telefonata a casa dei ragazzi coinvolti dalla bravata. Era la parrocchia. Fu chiesto gentilmente se la sera successiva i genitori dei ragazzi avrebbero potuto recarsi in canonica per un breve colloquio riguardante i loro figli. Nelle case l’aria divenne bollente.

Dopo un breve e finto sbigottimento, alcuni confessarono subito il probabile motivo della chiamata. Scattarono punizioni esemplari, quasi delle ritorsioni. Tra i genitori ci fu chi parlò più con le mani che con la bocca, pensando che quello che i loro figli non riuscivano a capire con le parole l’avrebbero compreso più efficacemente col dolore. Altri li umiliarono con insulti irripetibili. A Romoaldo toccò la cosa per certi versi peggiore. Dopo aver confessato con parole tristi e un atteggiamento sommesso il padre gli gridò in faccia quanto fosse deluso, gli vomitò addosso che gli altri fratelli erano meglio di lui, che era un ingrato, gli scaricò addosso tutta la rabbia e la vergogna che provava. Il ragazzo provò ad accennare una spiegazione. Nulla, lo fece infuriare di più. In un accesso d’ira, gesticolando, urtò il televisore che rovinò a terra. La rabbia divenne furore, si avvicinò al figlio minaccioso. Fu l’intervento della madre, che vide il marito fuori di sé, a calmarlo il tanto che bastò ad evitare conseguenze peggiori. Fu un trauma per Romo. La lezione l’aveva imparata, ma le parole del padre lo svuotarono della stima che ogni adolescente è bene che abbia.

I ragazzi passarono tutti dei momentacci, ma chi tra loro aveva un carattere “forte e indifferente” in breve ci passò sopra. I genitori dal canto loro, dopo la sgradevole sensazione di vergogna e di collera, cominciarono a chiedersi perché il Parroco intendesse incolpare proprio i loro figli; iniziarono a domandarsi quali prove avesse e quali intenzioni lo muovessero e, soprattutto, come si permetteva di avanzare certe accuse … e via discorrendo; il tutto, senza neanche aver sentito cosa avesse da dire il sacerdote e, soprattutto, con quali propositi.

Il mattino seguente a scuola i ragazzi erano infuriati. Nel corridoio all’intervallo si chiesero chi avesse messo in rete il filmato.

- E’ tuo il telefonino del menga che ha ripreso la scena, Sergio, che cavolo ci hai fatto, a chi l’hai dato, imbecille? - Accusò Gianni tenendo Sergio per la maglietta. Anche gli altri erano infuriati e non difesero l’amico. Aspettavano una risposta. Che arrivò con voce tremante.

- L’ho passato a tutti voi, lo avete voluto tutti il filmato, cosa volete da me.

- Si può sapere chi ha messo di mezzo internet, allora? - Chiese Riccardo.

- Demente, dicci chi è stato, tu lo sai! Se no ti gonfio, sei tu quello fissato con ste cose. - Incalzò Gianni. - tu e la tua idea di vacca di riprendere tutto col telefonino.

Sergio non sapeva più cosa dire e allora dopo le parole seguirono i fatti. Gianni strattonò Sergio con violenza, una, due, tre volte, finché Sergio reagì per difendersi. Era quello che Gianni aspettava per colpire l’amico più volte … finché gli altri li separarono. Sergio era pestato per bene. E agli altri non dispiaceva granché. Sapevano che probabilmente non era stato lui a mettere il video su internet, non si sarebbe mai auto incolpato, ma poco importava, aveva fatto lui il filmato e un responsabile dovevano pur trovarlo.

Visto il trattamento subìto, Sergio andò su tutte le furie e proprio mentre suonava la campanella gridò col fiato che aveva in corpo:

- Bastardi, però ieri mattina ridevate anche voi: “siamo famosi, siamo famosi” e adesso è solo colpa mia … io non so neanche chi l’ha messo quel file in giro, bastardi!

Lasciarono lì Sergio, con le sue botte, a guardarsi la maglietta strappata e i graffi sul petto. Erano troppo presi con le loro punizioni, con i loro problemi.

sabato 10 ottobre 2015

Dei ragazzi della scuola e dell'amore - quinta puntata

prosegue l'avventura dei ragazzi

QUINTA PUNTATA

                   Cap. 3 II secondo anno alle superiori

 Un giorno gli amici si ritrovarono appena terminate le lezioni. 

- Non hai il coraggio di farlo. - Disse Gianni.

- E perché dovrei? - Ribatté Sergio.

- L’idea è questa: siamo un gruppo, amici tenaci e duri, dobbiamo dimostrare che abbiamo le … insomma gli attributi. Così chi vuole essere veramente del gruppo deve superare una prova, diciamo … deve dimostrare di essere un duro.

Le parole di Riccardo convinsero tutti e, nel pomeriggio, man mano che gli amici giungevano in piazzetta venivano messi al corrente della proposta. Gianni, Riccardo, Sergio, Romoaldo, Luigi e Diego erano ormai diventati inseparabili.

- Sì, ma chi decide le prove? - Domandò Sergio un po’ scettico, mentre sorseggiava una coca cola fresca.

- Gli altri! tutti gli altri decidono di volta in volta per quello a cui tocca, e ovviamente lui ci deve, stare altrimenti è fuori.

La proposta di Gianni fu accolta dall’entusiasmo, all’inizio, poi si resero conto che ognuno era in balìa del gruppo.

- Chi inizia? - Chiese Gianni.

- Iniziamo da Romoaldo. - Propose Riccardo.

- Perché proprio io?

- Perché hai un nome del menga. - Disse ridendo.

- Meglio del tuo, e poi era di mio nonno materno, tanti in famiglia lo hanno.

- Sì, tutta la famiglia Addams. - Ne rise Sergio.

- Ma piantala sciancato….

- Dai, dai chi ce la fa a … - Sergio si girò di fretta - … a far suonare le campane della chiesa.

Attimo di smarrimento generale. Nel fondo, tra gli alberi svettava un campanile di fine 18° secolo, che pareva irraggiungibile nel cielo.

- Ma non sono registrate le campane? - Chiese Diego. - Cioè, quando suonano sono incise su CD. No?

- Facciamo suonare il CD, allora. - Disse risoluto Gianni.

Si guardarono negli occhi l’un l’altro. Non tutti erano convinti, forse immaginando la più che probabile reazione di genitori e del prete. Quello era un pomeriggio di fine settembre, l’aria ormai era cambiata e non c’era il caldo opprimente dell’estate.

I ragazzi si attardavano a tornare a casa, decisi a consolidare la loro amicizia, il loro gruppo. Quasi tutti erano in motorino, o erano accompagnati dagli amici. Ma quella proposta non era abbastanza:

- No, ragazzi, non facciamo suonare il CD delle campane, ma un altro, uno nostro. Propose Riccardo.

L’intesa era raggiunta. Sarebbero andati tutti in sagrestia per la bravata. Ci si doveva mettere d’accordo solo sui tempi e sulle modalità, per cui tennero d’occhio per tutto il giorno il campanile e notarono che le campane suonavano davvero soltanto alle 12 e alle 18. - Si farà alle 19 - Era deciso.

Il giorno successivo Romo e Sergio stettero fuori dalla chiesa, Gianni e Diego entrarono finita la messa alle 18,45 dove c’era già Riccardo vicino alla sagrestia per studiare i movimenti del sacrestano. Vide dove era il lettore CD e si tenne pronto ad intervenire appena il sacerdote si fosse allontanato a messa finita. Ma il sacrestano, contrariamente ciò che accadeva di solito, non si allontanò, rimase a fare ordine. Gianni fece cenno a Riccardo che avrebbero pensato loro al “sagrista” e, con la scusa di una informazione sui ceri, diedero il tempo a Riccardo di cambiare il CD.

Come videro uscire Riccardo dalla sagrestia gli altri due salutarono il sacrestano che rimase attonito per la fretta con cui tagliarono il discorso, tanto che si guardò in giro e fece in tempo a notare, tra l’altro, anche Riccardo allontanarsi in tutta fretta. Mancavano pochi minuti alle 19, l’ora della scampanata, e la chiesa si andava svuotando. I sei amici si radunarono proprio in prossimità del campanile. Sergio tirò fuori il telefonino e riprese Riccardo che si improvvisò speaker dell’avvenimento, scimmiottando i giornalisti TV:

Buonasera, siete collegati con Piazza Maggiolini perché il Prevosto ha deciso di protestare contro chi ha espresso lamentele verso le campane che fanno rumore e disturbano la pace della gente tranquilla di questa cittadina laboriosa, protesta portata ai limiti dell’accettabile, a detta di alcuni, per le modalità discutibili: infatti il sacerdote ha deciso che tra un minuto non suoneranno le campane ma……

Ma non fece in tempo a finire che la piazza, le vie, la città furono inondate dal suono distorto delle chitarre degli AC-DC. I ragazzi scoppiarono in una risata clamorosa, in salti, urla e in goffe imitazioni spasmodiche delle chitarre elettriche. Il tutto ripreso dal telefonino ultima generazione di Sergio.

Il suono s'interruppe pochi secondi dopo, grazie al tempestivo intervento del sacrestano che era ancora all’interno della chiesa. Loro però continuarono a gridare a squarciagola e presero i motorini cominciando ad impennare in piazza. Andarono via con l’euforia che ancora gridava loro in gola, con le risate che coprivano anche i loro pochi e non lucidi pensieri, fuggendo sui rumorosi veicoli, ma non prima di essere passati un’ultima volta sul sagrato della chiesa.

Luigi, in particolare, era il più spericolato col motorino e continuava a impennare e a sgommare per le vie del centro. Si calmarono soltanto quando scorsero in lontananza una pattuglia della polizia locale: a quella vista cessò improvvisamente l’adrenalina.

La sera in piazzetta lo raccontarono a tutti e rividero il video fino all’inverosimile, come se avessero osato l’inosabile, come se ognuno di loro si fosse guadagnato la palma del ragazzo più in gamba del momento. Alle ragazze in fondo piacque la bravata, e anche loro continuarono a rivedere il filmato... non dissero nulla in merito, se non il proponimento di essere presenti alla prossima avventura.

Romoaldo non disse nulla a Mara e non si esaltò eccessivamente: sapeva che lei non avrebbe condiviso. Era molto religiosa, assidua frequentatrice della parrocchia, per cui si contenne anche nelle dimostrazioni di soddisfazione. Le stava a fianco accennando appena qualche sorriso se qualcuno degli amici lo avvicinava, poi proseguiva a chiacchierare con lei. La ragazza dal canto suo non condannò apertamente il misfatto, sapeva che sarebbe stato inutile e sorvolò, era troppa l’euforia; si limitò a dire che era tardi e se ne andò a casa. Non fu una bella serata per lei.

La sera successiva, dopo cena, Gianni andò a prendere Martina a casa sua, in motorino.

- Il mio è dal meccanico Gianni, sono a piedi. Mi faccio accompagnare in piazzetta da mia madre.

- No, vieni con me sullo scooter, è qui vicino, ci vuole poco, dai.

- Ok, prendo il casco e arrivo.

Martina uscì poco dopo, aveva il casco in mano e lo fece vedere a Gianni sorridendo. Intanto il ragazzo fuori in strada stava sgommando e frenava continuamente facendola attendere qualche istante prima di farla sedere sul seggiolino.

- L’hai finita finalmente di fare casino!

Era seccata per il comportamento eccessivamente rumoroso di Gianni, anche perché il padre era alquanto infastidito dal baccano e lo aveva detto alla figlia, oltre ad averle fatto le solite raccomandazioni. Il fumo dei copertoni andò via poco dopo, ma l’odore di gomma bruciata rimase per un pò.

- Dai che andiamo, bella!

Non le diede neanche il tempo di allacciarsi il casco che partì a tutta velocità, sfrecciando tra i viottoli del centro e arrivando all’impazzata dagli amici.

- Ragazzi si va al pub irlandese. - Disse a tutti Luigi.

- Fino a Busto piccola? Perché? Stiamo qui come le altre volte. - Propose Riccardo.

- Ho voglia di sfrecciare a tutta velocità, raga, dai, si vola. - Gridava Luigi dando gas a tutta forza al ciclomotore in folle.

- Piantala che ci intossichi tutti, rimba. - Lo apostrofò Riccardo. - Spegni sto coso che decidiamo.

- Sì, andiamo al pub, voglio bere una birretta gelata.

Così iniziarono tutti ad accendere i motorini e Luigi, che non lo aveva mai spento, iniziò una danza sincopata di accelerate e frenate. Diego prese a sgommare. Riccardo diede vita ad una serie d'impennate alquanto pericolose, poiché ogni volta rischiava di fare la conoscenza dell’asfalto. Gianni, che aveva a bordo Martina, si limitò a disegnare cerci sempre più stretti col ciclomotore, rischiando di perdere l’equilibrio.

Il tutto condito da schiamazzi e risate.

Romo rimase a piedi, non aveva ancora il motorino e nessuno lo fece montare. Quello promesso dai genitori tardava ad arrivare e i fratelli maggiori non glielo avevano prestato, non lo facevano quasi mai. Cominciò così spontaneamente un carosello di velocità e giri vorticosi, di impennate e frenate repentine. Insomma cominciavano a dare veramente fastidio agli altri avventori della piazzetta. L’euforia andava a mille, i ragazzi si sentivano padroni dello spiazzo, del loro destino, dell’estate che si chiudeva e la gioia offuscava la ragione … forse troppo.

Nessuno di loro si avvide della volante della polizia locale che da qualche istante li stava osservando e che si avvicinò con calma. Sarebbero stati dolori.

Forse qualcuno aveva chiamato, forse no, sta di fatto che era lì. Un paio fuggirono di istinto, gli altri si fermarono. La volante non si mise alla rincorsa dei fuggitivi, si fermò e gli agenti scesero.

- Ragazzi fateci vedere i documenti dei ciclomotori, per cortesia. - Disse con tono deciso il poliziotto.

Dopo un rapido controllo gli agenti iniziarono a stendere i verbali, con piena soddisfazione dei presenti che intendevano godersi una tranquilla serata di fine estate, magari gustando un gelato. C’erano molti bambini e i giochi coi motorini potevano diventare pericolosi. Il conto fu tragico, furono fermati due ciclomotori e contestate cinque infrazioni. Alcuni ragazzi oltretutto non indossavano il casco. Ora, forse perché la paura era passata, o perché cominciavano a rendersi conto che non avrebbero avuto il motorino per un bel pò, o più semplicemente per timore di dirlo ai rispettivi genitori, tra di loro montò la rabbia e cominciarono a diventare impertinenti con i vigili: la bocca parlò senza cervello.

- Perché le fate solo a noi le multe, e degli altri che sono scappati non ve ne frega niente, vero? - Obiettò il primo dei ragazzi.

- Così tanto di multa? Ma siete fuori di testa? Io chiamo mio padre! Non sapete cosa vi succederà. - Disse un altro.

- Ma pensa li paghiamo noi questi qui! Sono proprio facce toste. - Incalzò qualcuno dalle retrovie.

La fortuna dei ragazzi fu che i due agenti avevano esperienza, agivano con autorevolezza, ma non avevano intenzione di calcare la mano; non diedero peso alle parole dei giovani e passarono sopra a qualche insulto che si udiva qua e là.

- Perché non ci dite per quale motivo non avete inseguito anche gli altri e fate le multe solo a noi. - Ripeté a voce alta Gianni, ormai fuori controllo.

Questa volta il vigile, che stava scrivendo proprio il verbale di sequestro del ciclomotore di Gianni guardò il ragazzo che gli stava proprio a pochi centimetri, e gli disse:

- Pensa che sia stato così difficile leggere le targhe dei ciclomotori dei vostri amici prima che andassero via? - E gli mostrò la mano sul cui palmo erano annotati due numeri di targa. Gianni non parlò più. - Lei non è il figlio del commissario? - Domandò il vigile.

- Sì, sì. - Rispose a denti stretti Gianni.

- Faccia vedere il verbale a suo padre, perché tanto glielo manderemo a casa, così se ha bisogno di spiegazioni gliele daremo noi. Arrivederci.

E se ne andarono.

Il resto della serata fu amara. I ragazzi stettero tutto il tempo a inveire contro i vigili, a domandarsi come dirlo ai genitori, a cercare di ricordarsi i motivi più disparati per fare ricorso ai verbali, comprese fantomatiche conoscenze con comandanti di polizia o avvocati. Il giorno successivo ci sarebbe stata scuola e a loro non andava giù di andarci accompagnati dai genitori.


Erano da poco passate le dieci e Martina volle che Gianni l'accompagnasse a casa a piedi. Era stanca e arrabbiata per l’accaduto. In verità, ce l’aveva soprattutto con Gianni. Non solo l’aveva combinata grossa, il ragazzo non capiva, secondo lei, che non era il caso di prendersela coi vigili, in fondo se l'erano cercata.

Ma passeggiando pian piano si calmò.

- Sono strade poco illuminate e a volte ho paura di camminare da sola. Mi fa piacere che ci sia tu ad accompagnarmi.

- Beh, mi piace stare con te, lo sai.

- Anche a me piaci tu.

I due ragazzi si tenevano per mano. Ogni tanto la luce dei lampioni era più intensa e creava strani giochi di colore con i capelli di Martina. Gianni allora approfittava dei momenti di buio per stringerla e baciarla. In quei frangenti i cuori parlavano l’un l’altro, le mani si stringevano e le labbra cercavano l’amore. Era dolce morire in quell’abbraccio.

Rimasero molto tempo fuori dalla casa di Martina a chiacchierare. La voce di lei era un canto delicato. Lui le carezzava teneramente i capelli mentre parlavano; con le dita sentiva scivolare le ciocche lisce e profumate e con gli occhi cercava di cogliere ogni piccola espressione del viso che, sorpreso, gli piaceva da morire; con la bocca sussurrava dei tocchi delicati sulla pelle, come fossero sentieri da scoprire. Erano in estasi. In verità ogni tanto giocavano col telefonino o si facevano giocosi dispetti. Ma, di quando in quando, tornavano ai silenzi che sussurrano sguardi, tocchi e teneri baci.

- Sai che mi manchi quando non ci sei, Gianni?

- Lo so. - Disse impertinente.

- E come fai a saperlo?

- Perché anche io ti cerco. Siamo attratti l’un l’altra.

- Ci promettiamo eterno amore? tu ci credi?

- Sì, ci credo, e vorrei che il nostro fosse così, Martina, vorrei scriverlo in piazza, sui libri, in tutte le vie …

Non finì la frase, le parole si adagiarono tra le labbra dei giovani innamorati, e scesero al cuore nelle stanze segrete che ognuno conserva geloso.

- Devo andare ora.

- Lo so. Tua madre ha chiamato.

- Mi mandi da lei?

- Ti porto con me, amore.

- Ci verrei, lo sai.

Tra i due ormai l’attrazione era forte e non riuscirono a separarsi quella sera se non dopo che la madre chiamò l’ennesima volta, verso mezzanotte. Si toccarono ancora le mani, nel buio, tra gli alberi del viale che portava alla casa di lei. La notte amplificava i sensi e conduceva i loro pensieri lungo sentieri poche volte esplorati. Ogni cosa in quei momenti pareva parlasse di lei. Prese una sua foto, che teneva nel portafoglio, e la diede a Martina.

- Sarò per sempre tuo Martina. - E la baciò.

sabato 3 ottobre 2015

Dei ragazzi della scuola e dell'amore - quarta puntata

Prosegue il racconto

Quarta puntata

Cap. 2 La furbata

L’estate era inoltrata e si avvicinavano le scuole. Riccardo aveva ricevuto in dono per il suo compleanno un ciclomotore fiammante, e voleva farlo vedere agli amici. Così un pomeriggio di settembre alcuni di loro, che erano a casa di Riccardo, scesero con lui nel garage. Ammirarono il veicolo in ogni particolare, lo accesero più volte, ci fecero dei giri. Aveva un colore grigio metallizzato, con rifiniture che davano sul violaceo, e nel complesso faceva la sua bella figura. Per i ragazzi era quasi un oggetto di culto. Era tra i primi della cerchia di amici ad averne uno, e passarono più di un paio d’ore al suo cospetto, quasi fosse un miracolo. Poi qualcuno di loro notò un uomo vestito da cameriere che, sceso poco prima nei garage, aveva frettolosamente lasciato aperto quello di fronte a Riccardo. Fu un attimo!

I ragazzi si riversarono dentro incuriositi. E non trovarono quello che di solito è riposto in simili locali. Trovarono scaffali e scaffali di caramelle, noccioline, cioccolate in polvere e bibite. Di tutti i tipi. Le mani andavano così veloci che in poco tempo arraffarono il possibile, ma durò pochissimo. Il rumore di una macchina li fece fuggire con addosso chili di chewing gum e di adrenalina.

Ma l’idea ormai li ossessionava: come tornare a mettere le mani su quel bottino. Fecero decine di proposte l’un l’altro, prontamente accettate e subito scartate a favore dell’idea successiva. Alla fine prevalse lo scoraggiamento. Il colpo di fortuna c’era stato e non erano riusciti a sfruttarlo appieno.

Così, con la scusa del motorino di Riccardo andarono per un pò di giorni nel garage, sperando che si ripresentasse l’occasione. In effetti il cameriere tornò ogni tanto ma, quelle volt, non lasciò il garage aperto: probabilmente s'era accorto dell'ammanco.

Nonostante ciò, la fortuna li baciò ancora, accadde di nuovo: per la fretta o per distrazione l’uomo lasciò socchiuso il locale adibito a deposito. Questa volta, però, erano organizzati.

- Alla porta Luigi, pronto a fare il segnale! - Disse Riccardo.

Gli altri entrarono come un ciclone nel golfo marino, buttandosi sulle scorte.

- Non così ragazzi, non facciamo casino e non buttiamo tutto all’aria. Portiamo via solo scatole chiuse e alcuni pezzi delle scatole già aperte, in modo che non appaia subito che c’è stato un furto. È inutile allarmare il cameriere. - Propose Romoaldo.

Ovviamente nessuno ascoltò: troppa foga! Troppa paura. Finché Riccardo disse che Romo aveva ragione e rimisero un pò in ordine, prendendo una gran quantità di merci e nascondendola nel garage di Riccardo.

- Ora dobbiamo trovare un nascondiglio sicuro. - Disse Luigi.

- Ci sono quelle case abbandonate in centro, vicino al calzificio; lì, nelle cantine, possiamo nascondere tutto: è buio pesto e nessuno vi scende mai. - Nessuno obiettò, e ascoltarono le parole di Sergio.

Erano fieri della loro furbata. Con essa si erano riempiti le tasche di noccioline salate, caramelle, snack e quant'altro: e le ostentavano a tutti gli amici, finché il giorno successivo il fratello maggiore di Sergio, notate le quantità di prelibatezze ingurgitate dal fratello, lo fece parlare.

E la vanità aprì bocca! Si inventò una eroica scoperta, dei pericoli esagerati, una fuga quasi da agente segreto e confermò che lui e i suoi amici avevano messo le mani su una quantità enorme di dolciumi. Fino a qui il racconto avvenne pacificamente. Quando gli chiesero di rivelare il luogo del nascondiglio, il fratello e gli amici più grandi tirarono fuori la cattiveria del più forte e, a ritmo di schiaffoni, si fecero condurre a fare man bassa a loro volta, a spese dei ragazzi più piccoli che avevano rischiato.

Sergio non ebbe il coraggio di dirlo agli amici, che lo scoprirono non appena provarono a rifornirsi nuovamente alla cantina della vecchia casa semidiroccata.

La loro gloria terminò così! Ma nessuno degli amici se la prese eccessivamente con Sergio, sapevano che cadere nelle mani dei “più grandi” era dura e cercarono di tornare nel nascondiglio a recuperare quel poco che era rimasto. Briciole.

Mentre tornarono nella loro zona, la 167, Romoaldo vide Mara.

- Ciao ragazzi, a dopo. - Disse salutando frettolosamente.

Capirono subito, appena videro dove era diretto, e proseguirono diritto. Anche Mara per la verità tirò diritto e non gli rivolse la parola, tanto più che era in compagnia di altre ragazze e continuò a conversare con loro come se Romoaldo non esistesse affatto. Solo uno sguardo, come per caso, durante la conversazione animata con le amiche. Neanche un saluto!

A Romo si gelò il sangue. La guardò passo passo finché s'allontanò.

- L’ha fatto apposta - pensò - possibile che non mi abbia visto?

Incredibile quanto l’indifferenza altrui possa uccidere, e nel contempo fortifichi l’autostima di chi la somministra. Raggiunse di nuovo i suoi amici e si consolò in un mutismo sordo, mentre gli altri, cresciuta la rabbia, covavano voglia di vendetta. Di Di quell'intento Luigi il era più deciso:

- Li becchiamo uno a uno, da soli, e li massacriamo di schiaffoni!

- Sì, poi ci cercano uno a uno e ci finiscono a sberle, che idea del menga. - Ribatté qualcuno.

E continuarono così fino all’ora di cena. Alla fine decisero di andare l’indomani a chiedere almeno una parte del bottino, visto che quel ben di cuccagna l’avevano procurato loro.

La sera si ritrovarono alla piazzetta del gelataio ancora un pò rabbiosi, ma alla fine passarono il tempo allegramente tra gavettoni e risate. Così anche Romo.

Il giorno dopo l’incontro con il fratello di Sergio e gli altri grandi:

- Volete parte della merce? E chi se ne frega! - rispose il fratello di Sergio - Ve ne andarvene da soli o vi accompagnamo a calcioni, mezze cartucce?

Questa fu in sintesi la risposta alla richiesta di avere parte della refurtiva.

- E poi abbiamo già divorato tutto, è rimasto poco. - Quidni se ne andarono ridendo e canzonandoli.

Niente da fare! Occorreva rassegnarsi. Si rischiava che dallo scherzo si passasse alle mani. Quello dunque fu un discorso chiuso.

Si avvicinavano i giorni della scuola, la seconda superiore per Romoaldo e i suoi amici. Dopo qualche giorno il poeta chiese a Gianni di accompagnarlo con il motorino a casa di Mara.

- Non posso, sono con Martina.

Allora chiese a Riccardo.

- Non ho i soldi della benzina, e sono in riserva.

Non chiese più! Capì che non volevano aiutarlo. Ci rimase di sasso, ma ci passò sopra: comunque era deciso a incontrare Mara, per parlarle e spiegarsi. Andò in classe sua, era il primo giorno di lezione. La scusa era il prof di matematica che avevano in comune e i compiti delle vacanze, gli “obiettivi” come li chiamavano i prof.

Le si avvicinò camminando lentamente, con calma, tenendo i libri in mano e con altrettanta pacatezza le rivolse la parola.

- Ciao Mara.

- Ah, ciao Romo. - Rispose accennando ad andarsene.

- Hai trovato le soluzioni alle espressioni che ci ha dato per le vacanze il prof? Ho saputo che ha assegnato le stesse a tutte le sue future seconde. Io di una ho un dubbio su un passaggio … avrebbe fatto meglio a darci il risultato il prof, così eravamo sicuri del lavoro.

- Ma lo fa apposta, vuole che ragioniamo. Che dubbio hai? - Rispose con fare un pò paternalistico.

Riuscì a farla parlare, e soprattutto a farla parlare con lui. Il volto era serio e concentrato ma il cuore gridava, gridava tra colori brillanti del cielo settembrino che gli dipinsero l’anima. Gli occhi fissavano il quaderno aperto, ma vedevano solo il viso di lei, immaginandolo sorridente e sereno.

Poi tutto finì ... non tutto, veramente: si erano dati appuntamento per ripassare con altri compagni a casa di Romoaldo, nel pomeriggio. Arrivò poco prima dell’ora stabilita per il ripasso una telefonata da Mara:

- Gli altri non … vengono, vogliono fare un giro in piazzetta e io vado con loro, facciamo un’altra volta per il ripasso, Romo?

Pochi secondi per pensare, le idee sorgevano a metà scontrandosi tra loro e nessuna gli rimase in testa. Accennò solo due parole:

No … aspetta….

Un attimo di silenzio: temeva avesse già messo giù e che in realtà gli amici, la piazzetta, fossero soltanto una scusa per liberarsi di lui. Odiò quel silenzio interminabile.

- Sono qui, dimmi ... Romo?

- Ecco, contavo di andarci anche io in piazzetta, in effetti è una bella giornata e me la voglio godere, vengo con voi!

- Bene … ci vediamo lì allora. - Disse con tono frettoloso.

- Sì, - rispose con calma Romo. - Ma io vorrei parlarti, sai vorrei spiegare quello che hai sentito da Andrea. Io non ho preso un soldo. - Disse concitato. - Mi hanno costretto, lo hanno voluto loro e mi ha anche beccato il prof, che stupido sono.

- Si ho capito, ieri a scuola ho incontrato Gianni e Martina e me lo hanno detto!

Continuarono così per qualche minuto e dopo una mezz'oretta si ritrovarono in piazzetta con gli amici.

- Non so perché ti parlo Romo, devi proprio piacermi se ci vediamo dopo quello che ho saputo di te, dei bigliettini a scuola intendo. - Quelle semplici parole dette col sorriso gli fecero sussultare il cuore.

Romo non rispose in merito ai bigliettini:

- Allora ti piaccio ... e parecchio forse. Meno male; vivo anch'io se la luce dei tuoi occhi si posa su di me.

- Dai Romo, sei sempre pronto a portare il discorso dove vuoi tu.

- Tu sei il mio discorso, il mio intelletto e il mio cuore.

- Se sono quello che hai detto vuol dire che ti piaccio anche io, allora.

- Sì Mara, mi piaci; mi piace ogni cosa di te, tutto ciò che sei.

- Tutto? … - e scherzando gli mostrò le mani – ti piacciono?

Le raggiunse con un tocco che appena le sfiorò.

- Ad esempio le mani. Sono amicizia e amore, delicatezza e forza. Esse possono amare o odiare, sono dolci al tocco e abili nell’arte, sanno trasmettere un caldo abbraccio al cuore. A volte si congiungono al cielo, non in preghiera, esse sono preghiera. A volte assumono forma di petali, delicate e profumate aurore di bellezza. E io … le tocco, come dono insperato e ne bacio il palmo come fosse una piccola volta del cielo. Se le piccole mani fanno tutto ciò, profondità e ampiezza, cosa riserva il firmamento a noi mortali?

Ma si udì un urlo. - Ragazzi chi vuole un gelato? Hanno sbagliato gusto e a me non piace l’amarena. - Interruppe Riccardo mentre usciva dalla gelateria.

Faceva veramente caldo e quel cono gelato era invitante. Cominciava a grondare ai lati di panna fresca e gocciole di amarena.

- Lo vuoi Mara?

- Sì, grazie.

- Dai qua Riccardo, lo prendiamo noi.

- Ah ah ah lo prendiamo noi … noi noi noi …

Riccardo cominciò a girovoltare andando verso i due innamorati, canticchiando con un tono scherzoso. I due ragazzi erano amici davvero e Riccardo voleva prenderlo in giro facendo volteggiare il gelato.

- Si scioglie e poi te lo mangi tu, Ricky! - apostrofò l'amico che si attardava.

- Ok Romo eccoti il gelato… - Con un gesto repentino fece finta di inciampare, ma il cono cadde davvero sui piedi di Romo.

- Adesso sei contento! Vado a prenderne un altro. - disse furioso Romoaldo.

Riccardo andò via ridendo, corse verso gli amici. Il gelato rimase a terra e il nostro amico si alzò per andare in gelateria.

- Non fa niente Romo, stai qui, parliamo …

E nel primo giorno di scuola, passò il pomeriggio con lei.